La diversa narrazione di Arghillà Nord: cosa si nasconde dietro i volti del quartiere

I volti di Arghillá nord, tra amarezza e speranza: il pensiero di Cristina Delfino, volontaria ed ex operatrice sociale

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Il pensiero di Cristina Delfino, volontaria ed ex operatrice sociale, su Arghillà Nord. La sua è una narrazione diversa, che va oltre quanto di negativo si vede e viene raccontato. “Ai più sembrerà un paradosso. Esiste un luogo in cui cerco rifugio quando pensieri distruttivi mi affliggono e quel posto è Arghillà nord. Di questa zona del quartiere a nord della città di Reggio Calabria si è scritto tanto, a volte in maniera impietosa. A colpo d’occhio colpiscono i cumuli di rifiuti, le palazzine di alloggi popolari decadenti, gli scheletri di automobili bruciate. Eppure dietro a questo scempio, si nascondono vite di cui, una volta conosciute a fondo, non si riesce a farne a meno. Con questa frase che apparirà stucchevole ai benpensanti, non si vuole negare la presenza di criminalità, dispersione scolastica e tossicodipendenze, i cui dati sono tutti da scoprire, non essendoci studi in merito”, comincia il racconto.

“Negli anni, sotto diverse vesti, ad Arghillà ho avuto la fortuna di conoscere la resistenza di persone, di adulti e minori, che sono state relegate ai margini dal culto della competitività, senza però riuscire a perdere la consapevolezza che un’altra umanità è possibile e che la vita scorre comunque, senza troppi fronzoli e dilemmi. Quanto cambia la prospettiva delle persone quando si dà loro fiducia, quando si ascoltano parole di conforto prive di giudizio, quando si prova a cercare insieme una via di uscita possibile e la reciprocità senza gerarchie offre l’occasione di arricchimento, dimenticando titoli di studio e ruoli sociali!”.

“Non sempre è stato possibile vedere una luce in fondo al tunnel, tra difficoltà nella regolarizzazione della casa abitata da anni, tra debiti, drammi familiari, scarsità di opportunità lavorative e sfiducia nelle proprie capacità di apprendimento e nella possibilità di accesso alla formazione. Soprattutto quando il contesto di povertà, in ottica multidimensionale, non offre la possibilità di confronto con altre visioni e prospettive di vita”.

“Anche noi, attivisti e attiviste, volontari e volontarie, operatori e operatrici abbiamo lasciato che la brutalità, fatta di roghi tossici, incomprensione, violenza e solitudine, abbia la meglio, perché spesso siamo stati più interessati alla nostra autocelebrazione piuttosto che all’efficacia delle nostre azioni e rivendicazioni. Forse per paura di perdere credibilità davanti alle istituzioni che spesso ci esaltano o mortificano sulla base di quanto siamo affini al loro autocompiacimento”.

“Se davvero si ha cuore la sorte dei minori di Arghillà, come si dovrebbe avere a cuore quella di ogni bambino e bambina, secondo quanto affermato dall’art. 2 della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, forse potremmo cominciare a riflettere in un’ottica di cooperazione, senza presunzione né ingenuità. Nessuno, né all’interno del Terzo settore né tra le Istituzioni, vincerà alcun premio o avrà alcuna onorificenza ma in palio c’è qualcosa di più importante a cui ogni essere umano dovrebbe poter aspirare: la possibilità di vivere una vita in cui sia valorizzato il nostro perché in questo mondo”, si chiude il racconto.

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