Si è svolta nella giornata di mercoledì 30 aprile la quinta giornata relativa all’ottantesimo della fine della Seconda Guerra Mondiale. Nel corso della giornata di studi si sono accesi i riflettori sul tema “Dove e quando è morto Adolf Hitler?”. Il 30 aprile 1945 Adolf Hitler, il principale criminale di guerra del XX secolo, si suicidò. Oggi il suicidio di Hitler è un fatto noto, ma ci sono ancora esperti convinti che sia fuggito. È opinione comune che Adolf Hitler abbia concluso i suoi giorni nella primavera del 1945 nella Berlino assediata.
Ci sono testimonianze oculari e reperti sopravvissuti, come la mascella del Führer, ad esempio, che è ancora conservata in un archivio speciale alla Lubyanka. Ma c’è chi crede che il leader del Reich nazista sia sfuggito alla punizione e si sia nascosto da qualche parte in Sud America fino alla fine dei suoi giorni. I sostenitori di questa versione hanno anche molte prove e testimoni oculari che avrebbero visto Hitler dopo la sua morte ufficiale. E se entrambi avessero ragione e la verità in questo giallo storico si trovasse da qualche parte nel mezzo?
Queste varie ipotesi, tra le quali alcune molto suggestive, sono state oggetto di analisi della conversazione, organizzata dal Circolo Culturale “L’Agorà” sul tema “Come e quando è davvero morto Adolf Hitler?”, a cura di Gianni Aiello. Il relatore, nel corso dell’incontro, ha esposto le varie ipotesi a riguardo il giallo storico più discusso del Novecento. La morte di Hitler ha rappresentato per diversi anni un mistero storico e politico. Sin dal maggio 1945 si è discusso se fosse morto veramente, se non fosse in mano russa, o fuggito in sud America, o addirittura se non navigasse in fondo ai mari su un sommergibile nazista fantasma.
Nelle prime ore del mattino di martedì primo maggio del 1945, dopo violenti combattimenti tra le strade di Berlino, venne issata la bandiera dell’Unione Sovietica, da parte di alcuni soldati dell’Armata Rossa sul palazzo del Reichstag di Berlino, dopo violenti scontri con la guarnigione tedesca asserragliata all’interno e nei sotterranei del Palazzo. Lo sventolio della bandiera della vittoria poneva fine alle ostilità della seconda guerra mondiale ed ai violenti combattimenti all’interno dell’area urbana di Berlino che si svolsero dal 16 aprile al 2 maggio dello stesso anno: il 30 aprile la morte di Adolf Hitler.
Facendo qualche passo indietro, a partire dal 1944 l’intelligence statunitense ricostruì i tratti somatici di Adolf Hitler, riprodotti in alcune sequenze fotografiche che raffiguravano il dittatore tedesco come poteva cambiare sembianze in modo da sfuggire ad una eventuale cattura. Nel processo di Norimberga del 1945 il rappresentante degli Stati Uniti d’America, Thomas Dodd, ebbe ad affermare che nessuno poteva accertare che Adolf Hitler fosse realmente deceduto. Molti sono i dubbi che sono emersi a tal proposito ed una serie di interrogativi hanno coinvolto, con lo scorrere del tempo, studiosi, giornalisti ed autorità istituzionali, come ad esempio quella ad opera del premier Stalin che non ne confermò la morte.
Queste problematiche vennero analizzate dalla scrittrice Elena Rzhevskaya, al servizio, come interprete dal tedesco, del controspionaggio sovietico, che prese parte alle prime indagini a riguardo il ritrovamento del cadavere di Hitler e alle successive indagini per identificarlo. Nonostante le rassicurazioni da parte dello staff medico di Adolf Hitler che confermavano che i resti ritrovati nel bunker di Berlino appartenessero al capo nazista, quegli esiti non convinsero il capo del Governo, che addirittura avanzò l’ipotesi di una fuga di Adolf Hitler in Argentina con il supporto, non solo logistico, da parte del generalissimo spagnolo Francisco Franco.
A seguito di ciò, il governo britannico delegò lo storico storico Hugh Trevor-Roper per acquisire precise informazioni su tali vicende. Lo studioso lavorò al caso per un certo periodo e nel cui arco di tempo inserì in un apposito dossier, sia interviste che documenti, che vennero nel 1947 pubblicati sul saggio “Gli ultimi giorni di Hitler”. Sempre nel 1947 in Italia viene pubblicato Hitler è vivo di Clara Falcone (Milano, Edizioni Riunite).
La giornalista del Corriere della Sera si recò, pur se con tante difficoltà logistiche, nella Germania post bellica con lo scopo di raccogliere informazioni di prima mano. Nello stesso anno viene pubblicato in Argentina per la casa editrice, Editorial Tábano-Verlag di Buenos Aires, il libro dello scrittore, di origini ungheresi, Ladislao Szabo “Hitler está vivo”. Risale al 1954, uno scatto fotografico, realizzato in Colombia, a cura di Phillip Citroen e successivamente declassificata dalla CIA, che immortala un ex ufficiale delle SS in compagnia di Adolf Hitler.
Il documento indicava anche il luogo in cui era stata scattata la foto: una pensione di lusso chiamata Residencias Colonial, nella capitale Boyacá, dove Citroën alloggiava con la sua famiglia. A tal proposito vi è una linea di pensiero che sostiene che il dittatore nazista sia un sosia, tale Adolf Schüttelmayor e la presenza del replicante non fa altro che alimentare nuovi quesiti sulla questione. Nel 1967, una seconda pubblicazione a cura di Henri Ludwigg “L’assassinio di Hitler” andrà ad alimentare ulteriori dubbi su tale vicenda. Secondo l’autore della pubblicazione, la morte di Hitler non sarebbe da addebitare ad un suicidio, ma a qualcuno che prima lo avvelenò, poi gli sparò alla testa. Ma da chi? E per conto di chi e di quale organizzazione?
Proseguendo nella disamina cronologica, nel 1969 viene pubblicato in Occidente il libro del giornalista sovietico Lev Bezymenskij sulla morte di Hitler: in esso è incluso il referto dell’autopsia della SMERŠ, ma, per via dei precedenti tentativi di disinformazione, gli storici occidentali lo ritennero inaffidabile. Prosegue l’analisi da parte di Gianni Aiello, a riguardo la sequenza cronologica tra pubblicazioni ed eventi a riguardo le vicende di Adolf Hitler. Nel 1970, il presidente pro-tempore dell’Unione Sovietica, Leonid Brežnev, decise di far riesumare i resti di Adolf Hitler, Eva Braun, insieme a quelli di Joseph e Magda Goebbels e dei loro sei figli che in precedenza erano in custodia all’interno di apposite casse d’artiglieria, presso un edificio ubicato nell’area di Klausener Strasse a Magdeburgo.
La città della Sassonia, sotto l’amministrazione della DDR, a far data dal 1° luglio del 1945, e parte di quel territorio era sotto la giurisdizione del Cremlino ed il controllo dell’Armata Rossa. Il 20 marzo del 1970, a seguito delle direttive da parte del Presidente Brežnev, ha inizio il piano, denominato in codice Operazione Archivio”. Componenti del KGB si recano a Magdeburgo e dopo averne individuato l’ubicazione, ne riducono in polvere i resti dei corpi, spargendo le ceneri nelle acque fluviali del Biederitz. Le fasi vennero classificate in un dossier denominato “Atto di riesumazione dei resti dei criminali di guerra“.
Quelle vicende, fanno parte della pubblicazione del giornalista de “Il Secolo XIX” Giovanni Mari, che analizza quelle circostanze nella sua pubblicazione “Klausener Strasse. 1970: caccia al cadavere di Hitler. Il diario segreto del Kgb” , edito per la Minerva editore pubblicato nel 2020.Nel 1993, con l’apertura di alcuni archivi del disciolto KGB, i documenti concernenti la morte di Hitler hanno ufficialmente confermato la ricostruzione di Hugh Trevor-Roper pubblicata nel libro The Last Days of Hitler (Gli ultimi giorni di Hitler) del 1947 e collimante con quella sovietica. I resti del cadavere sopravvissuti, attribuiti ad Adolf Hitler, quali un cranio con un foro e una mandibola, vennero custoditi presso gli archivi segreti della capitale dell’Unione Sovietica, Mosca.
Successivamente, siamo nel 2000, vennero esposti nel corso di una mostra titolata “Agonia del Terzo Reich – Castigo”. Un colpo di scena si verificò nel 2009, quando i test del DNA effettuati sul frammento del cranio , attribuito a quello di Hitler, rivelarono che il cranio in realtà era di una donna con meno di quarant’anni di età. Una nuova svolta avviene nel 2018, quando, a seguito di un’analisi biomedica dei denti di Hitler, viene stabilito che la sua morte avvenne nel bunker di Berlino il 30 aprile del 1945. Nella parte del suo intervento, Gianni Aiello, ha esposto le varie ipotesi a riguardo la morte del dittatore nazista, avvenuta nel bunker di Berlino e, come riportato nei vari passaggi dell’analisi del relatore, si è assistito ad una serie di diversi ipotesi con relative conferme e/o smentite a riguardo la causa della morte.
Alcune fonti affermarono che morì solamente con il veleno, altre invece sostengono che sopraggiunse per un colpo di pistola auto-inflitto, mentre mordeva una capsula di cianuro, chi invece sostiene l’ipotesi dell’omicidio. Ma oltre queste variegate ipotesi, vi sono quelle inerenti ad una fuga da Berlino, una nuova residenza in Sud America, anche in questo caso vi sono altre ipotesi a riguardo le locations: Brasile, Argentina, Bolivia, luoghi questi dove Adolf Hitler avrebbe soggiornato e dove avvenne il suo decesso per morte naturale. Sono tanti gli interrogativi che alimentano i dubbi e le conseguenziali diverse chiavi di lettura tra gli studiosi, a riguardo la reale fine di Adolf Hitler, incrementando così il dibattito su tale sinistra figura del Novecento.
I dubbi emersi nel corso del processo di Norimberga, secondo i quali non vi era certezza sul decesso nel bunker di Berlino, la non conferma sulla morte, come evidenziato nel corso della conferenza di Potsdam (17 luglio – 2 agosto 1945), da Iosif Stalin, Capo del Governo dell’Unione Sovietica, così come quella del generale statunitense Eisenhower, che il 9 ottobre dello stesso anno ebbe a dichiarare “c’è motivo di credere che Hitler sia vivo”.
Da non sottovalutare le varie foto segnaletiche, a cura dei Servizi segreti statunitensi, che ritraevano Adolf Hitler in diversi tratti somatici utili a sottrarsi alla cattura, la presenza di nazisti in diverse locations del Sud America, l’operazione Odessa (acronimo di una organizzazione composta da ex ufficiali delle SS e criminali nazisti), o del sistema denominato ratline, conosciuto anche come “Via dei Monasteri” (impianto che operò in Europa tra il 1946 ed il 1951).
Quel programma permise l’estradizione ed il successivo collocamento in diverse località dell’America latina, quali Cile, Perù, Paraguay ed Argentina, territori dove non vigeva l’istituto dell’estradizione. Secondo alcune fonti si registrano le presenze di oltre un centinaio di nazisti condannati per diversi crimini di guerra sul territorio argentino, tra i quali risulterebbero Josef Mengele, Adolf Eichmann, Klaus Barbie, Gerhard Bohne, Walter Kutschmann, Erich Muller, Reinhard Kopps, Walter Rauff, Josef Schwammberger, Erich Priebke.
A riguardo Erich Priebke, nome legato all’eccidio delle Fosse Ardeatine, risulta la sua presenza a far data dal 1948 a Río de la Plata, da dove si spostò l’anno successivo nei pressi della capitale argentina, in quel di San Carlos de Bariloche, ai piedi delle Ande, luogo in cui ebbe a soggiornare, secondo diverse testimonianze, Adolf Hitler. In quella località Erich Priebke rimase per quasi mezzo secolo, prima della sua estradizione in Italia, avvenuta nel 1995.
La presenza dei nazisti in Argentina è nota sin dal periodo di José Félix Uriburu (Presidente de facto dell’Argentina dal 6 settembre 1930 al 20 febbraio 1932), fino a giungere a Juan Domingo Perón (Presidente de facto dell’Argentina dal 6 settembre 1930 al 20 febbraio 1932, a Capo dello Stato dal 1946 al 1955. Altre cifre da non sottovalutare riguardano l’avvistamento di un U-Boot tedesco in Argentina il 10 luglio del 1945 che in precedenza era stato segnalato nel marzo dello stesso anno in Norvegia e gli eventi che fecero seguito all’Operazione Regenbogen, quando nell’agosto dello stesso anno un U-977 ormeggiò nel Mar del Plata. Tale evento diede adito ad una serie di tesi secondo le quali su quel sommergibile vi fossero le presenze di alti funzionari nazisti oltre quella di Adolf Hitler. L’U 977 era comandato da Heinz Schaeffer, autore del libro “Il segreto dell’U 977”.
A tal riguardo si rimanda al film “Grey Wolf” del 2014 che narra la fuga con il successivo approdo a Fuerte Ventura nelle isole Canarie e l’arrivo in Argentina. Sulla costa di Sant Antonio Oeste, situata sulla costa atlantica, nel punto più interno del Golfo San Matías, in corrispondenza dell’omonima baia, sono stati rinvenuti i resti di sottomarini ed altre pertinenze che sono esposte presso un museo ubicato in tale vicinanze. In apertura di questo reportage si era fatto cenno ad una fotografia risalente al 1954 a cura della CIA e successivamente declassificata dai servizi segreti statunitensi, che immortala un ex ufficiale delle SS in compagnia di Adolf Hitler.
Uno scatto fotografico, avvalorato da perizie forensi, rinvenuto dal giornalista Abel Basti, apre nuovi scenari e propone nuove chiavi di lettura sulla presenza di Adolf Hitler in Argentina. Il giornalista e scrittore argentino ha dedicato oltre trent’anni di ricerche e diverse pubblicazioni su tale oscuro personaggio della storia tra le quali “Le foto di Hitler dopo la guerra” del 2023, ed autore di libri d’inchiesta quali “Bariloche Nazi”, “Hitler en Argentina”, “El Exilio de Hitler”, “Sulle tracce di Hitler” pubblicato nel 2015.
Come evidenziato, tanti sono i saggi storici di Abel Basti, come la guida itinerante di “Bariloche Nazi: Sitios Históricos Relacionados Al Nacionalsocialismo”, pubblicata nel 2004, il titolo della pubblicazione prende spunto dalla località della Patagonia che fu residenza di molti nazisti. A riguardo la località della Patagonia, l’emittente televisiva Canal 10 Rio Negro, realizzò un reportage dal titolo “Hitler in Patagonia” e nel corso dello stesso ebbe ad intervistare Alejandro Heil, figlio del colonnello Arturo Heil che, secondo le voci, consegnò a mano una valigetta al leader nazista inviata da Juan Domingo Perón. La guida “Bariloche Nazi”, insieme alla citata pubblicazione “Hitler in Argentina”, sono state oggetto di forti critiche, nonostante le varie edizioni e l’elevato numero delle vendite. Secondo la ricerca di Basti, Hitler ed Eva Braun sarebbero approdati in Argentina nel 1945.
L’autore ritiene di aver rintracciato tutte le residenze argentine dell’esule tedesco. La prima è la famosa Estancia San Ramon, poco distante da Bariloche ed esattamente presso il Lago Nahuel Huapi. La seconda residenza di Hitler sarebbe invece stata la cosiddetta Mansion Patagonica de Adolf Hitler, ubicata nei pressi della Villa Angostura, circa 85 km a nord di Bariloche. Ma il vero bunker si trovava nell’isola lacustre del Lago Nahuel Huapi, nella zona di Villa Tacul. A corredo di queste testimonianze, ve ne sono altre che fanno parte della letteratura orale ed a tal proposito – continua nella sua disamina Gianni Aiello – ne sono state riportate alcune. Nel biennio 1948-1950, presso la struttura ricettiva di Estancia Médanos Blancos, nella Città di Necochea, situata nella provincia di Buenos Aires, trovava alloggio un tedesco che albergava sempre nel suo appartamento, questa è la testimonianza di un dipendente di quel complesso alberghiero. Gianni Aiello riporta altri indizi, ricavati da diverse ricerche multimediali, che riguardano la casa di Hitler in Patagonia, la villa La Angostura, nell’area di Neuquen, ubicata nell’Argentina centro-occidentale.
Altro particolare riguarda l’ubicazione di un bunker nazista, ben strutturato nella parte architettonica con diverse torri di guardia ed ubicato nella foresta subtropicale di Misiones, nella parte nord est dell’Argentina e confinante con il Paraguay ed il Brasile. Altre fonti orali asseriscono che Hitler ha vissuto nella baia di Inalco e che sia sepolto in tale area, un’altra, invece che nell’area di Mendoza, nell’Argentina centro-occidentale, dove sarebbe stata trovata una tomba recante la dicitura Floda Reltih, anagramma di Adolf Hitler. Mentre un’altra tesi indica l’area cimiteriale britannico di Monte Grande. Abel Basti, autore di ”Bariloche nazi-guida”, nel suo libro racconta come Hitler sia sepolto col falso nome di Paulo Kak nel cimitero di El Calafate.
Di diverso avviso, prosegue nella sua disamina Gianni Aiello, invece è quanto sostiene Simoni Renee Guerreiro Dias, una studentessa universitaria, nella sua pubblicazione “Hitler in Brasile. La sua vita, la sua morte”. In tale saggio si ipotizza la morte naturale di Adolf Hitler nel 1984 all’età di 95 anni, avvenuta a Nossa Senhora do Livramento, Comune del Brasile nello Stato del Mato Grosso, con il nome di Adolf Leipzig. Il Brasile ebbe ad ospitare un numero consistente di criminali nazisti, che si rifugiarono in quel territorio, dopo la fine del secondo conflitto mondiale, come il medico nazista Josef Mengele. La presenza nazista in Brasile non è soltanto circoscritta alla fine della seconda guerra mondiale, visto che c’è da registrare una spedizione, finanziata dal Terzo Reich, in Amazzonia, indirizzata alla ricerca delle origini del popolo ariano anche sul vasto territorio dell’America meridionale.
Tale operazione, della durata di circa due anni, era denominata “spedizione nel Rio Jari” e diretta da Schulz-Kampfhenkel, giovane zoologo e geografo tedesco, membro dell’organizzazione paramilitare nazista. Proseguendo nell’analisi della documentazione, Gianni Aiello passa a quelli inerenti alla desecretazione dei documenti dell’agenzia governativa di polizia federale degli Stati Uniti d’America. Nei primi mesi del 2014 l’FBI ha desecretato ben settecento documenti riservati, secondo i quali Hitler non si è suicidato, quindi ne confermerebbe la presenza in Sud America. Interessante – prosegue nella sua analisi Gianni Aiello – quanto viene riportato nella premessa dei file (periodo 1933 – 1947) da parte del Bureau, dove si evince che: “All’indomani della capitolazione della Germania nel 1945, le forze alleate occidentali sospettano che Hitler si sia suicidato, ma non hanno trovato prova della sua morte.
A quel tempo, si temeva che Hitler potesse essere sfuggito poco prima della fine della guerra, e le ricerche si sono concentrate per determinare se fosse ancora vivo. L’Ufficio di presidenza dell’FBI ha esaminato alcune delle voci di sopravvivenza di Hitler.” In un memorandum segreto dell’FBI, oggi declassificato e firmato dall’allora direttore J. Edgar Hoover, che avrebbe dichiarato: “I funzionari dell’esercito americano in Germania non hanno localizzato il corpo di Hitler, né vi è alcuna fonte affidabile che dirà sicuramente che Hitler è morto”.
I dati desecretati dalla nota agenzia governativa di polizia federale degli Stati Uniti d’America hanno dato origine ad una serie di inchieste televisive, tra le quali, oltre la già citata Canal10 Rio Negro, anche quella avente come tema “Nazisti in Argentina”, trasmessa nel 2020 nel corso del programma “Morning in the Big City”, a cura di Yuri Matsarsky, giornalista dell’emittente televisiva privata IC. Di notevole impatto mediatico, nulla togliendo alle precedenti testate televisive, è il reportage della rete televisiva statunitense History Channel. Il documentario, a cura di Jeffrey Russell Daniels, giunto alla terza edizione, prende il nome di “Caccia a Hitler”. Gli operatori televisivi hanno seguito le indagini di un team di ricercatori, capeggiati dallo scrittore ed ex agente della CIA Robert Baer, di cui fanno parte anche l’ex funzionario dei servizi segreti Tim Kennedy e un soldato delle forze speciali Usa, membro del gruppo di monitoraggio di Osama Bin Laden dopo la data dell’11 settembre. Baer e il suo team ha seguito le tracce di Adolf Hitler in diversi paesi, tra l’altro utilizzando macchinari dalla tecnologia sofisticata e all’avanguardia.
Le loro ricerche si sarebbero basate anche sulle centinaia di documenti segreti dell’FBI che sono stati desecretati nel 2014. Tra i quali una vecchia lettera di Edgar Hoover, dove si legge che Hitler vive in Argentina, in una grande struttura sotterranea. In un altro rapporto, risalente all’11 agosto 1945, si ripete che il dittatore tedesco era ospite in una vecchia struttura sotterranea, con centinaia di nazisti, a circa 1000 km a ovest di Florianapolis, 700 km a nord-nord ovest di Buenos Aires. L’ ex agente della CIA Robert Baer testimonierebbe che la fuga di Hitler è probabilmente avvenuta tramite un tunnel che collegava quello che fu il bunker della Cancelleria del Reich alla metropolitana di Berlino (una volta nota come U6 e ora chiamata ‘Stazione Luftbrücke’) e da quest’ultima all’aeroporto Tempelhof. Poi, dopo aver viaggiato su un U-boat dalla Spagna, giungendo in Argentina. Un altro documento, datato 22 maggio 1948, colloca Hitler a Bogotà, in Colombia. Secondo questa nota informativa, Hitler sarebbe giunto in aereo a Bogotà insieme a due medici tedeschi e a due piloti.
Altre cifre riguardano l’alloggiamento di Adolf Hitler presso l’albergo Eden di La Falda, poco fuori Cordoba, ubicato a metà strada tra Bariloche e Misiones, tale struttura era di proprietà di Ida e Walter Eichhorn, due nazisti della prima ora che si erano trasferiti in Argentina già nel 1912. Altri dati riguardano la presenza temporanea di Adolf Hitler presso una villa protetta nei pressi di Bariloche, la Casa Inalco. Il nascondiglio era perfetto: una residenza ubicata a diversi chilometri dal centro urbano, circondata da 180 ettari di fitta foresta e accessibile solo dalle acque lacustri. Nessuna strada raggiunge la villa.
Quanto analizzato da Gianni Aiello è dovuto alla ricostruzione rigorosamente scientifica da parte di una squadra di specialisti a tal riguardo, tra i quali detective internazionali, cacciatori di nazisti, scienziati forensi, giornalisti investigativi, militari, documenti archivistici. Tale inchiesta apre degli spiragli di luce su uno dei più grandi misteri della Storia del XX secolo: quello legato alla morte di Adolf Hitler, evento, che a far data dal 30 aprile del 1945, rappresenta a tutt’oggi, un mistero non ancora risolto, caratterizzato con lo scorrere del tempo, da diversi colpi di scena, un enigma ancora da risolvere su questa parte della Storia dove non è ancora stata scritta la parola ‘fine’.
Il quinto appuntamento si è concluso con il reportage, realizzato dal Circolo Culturale “L’Agorà” “Pietra d’inciampo a Reggio Calabria: un mosaico per quale memoria?”. Esso trae spunto dall’inaugurazione nella “Giornata della Memoria” di un simbolo dove non viene riportato, per come dovrebbe essere, nessun nome, nessun anno di nascita, nessun giorno e luogo di deportazione, nessuna data di morte. Solo qualcosa di anonimo e freddo, ubicato nel luogo che fu il quartiere ebraico di Reggio Calabria, la via che ricorda la Giudecca. In quella occasione si è assistito alla scopertura, come riporta la cronaca, di una “pietra d’inciampo” , dove viene riportatala seguente dicitura: “In memoria di tutti i calabresi deportati nei lager nazisti, vittime dell’olocausto delle leggi razziali naziste”.
Quella iscrizione è un’offesa nei loro confronti ed ai rispettivi parenti, ma anche alla Città ed alle sue vicende ed alla Storia. La Storia (quella con la S maiuscola), quella caratterizzata da documenti archivistici, da ricerche, da testimonianze e non da sunti delle scuole elementari. Quale messaggio si vuol dare alle nuove generazioni? Su quali elementi andranno a riflettere “famiglie, bambini o turisti”? Questo sarebbe il metodo a preservare la memoria storica in modo tangibile e duraturo? È opportuno, doveroso, ricordare e far ricordare i nomi di quei nostri concittadini per evitare ulteriori limitazioni a chi, in quell’epoca, sacrificò la propria vita per la più grande conquista civile, la Democrazia.
Queste alcune delle cifre che sono state oggetto di analisi, nel corso della quinta giornata di studi organizzata dal Circolo Culturale “L’Agorà”. La conversazione, organizzata dal sodalizio culturale reggino, sarà disponibile, sulle varie piattaforme Social Network presenti nella rete, a far data da mercoledì 30 aprile.