Il cavolo trunzu, prodotto tipico della zona dell’Aci catanese, ha una storia davvero particolare. Secondo alcune testimonianze contenute nella biblioteca di Acireale (Catania), sembra che addirittura Johann Wlfgang Goethe, nel corso del suo viaggio in Sicilia alla fine del Settecento, abbia fatto riferimento al cavolo trunzu.
E pensare che in epoca moderna stava per scomparire dalle tavole mentre adesso, questo particolare cavolo rapa coltivato anche nel versante occidentale dell’Etna, è stato ‘rilanciato’ nell’ultimo biennio grazie a un gruppo di agricoltori e a un finanziamento di 350 mila euro del Gal Terre dell’Aci attraverso fondi del Psr, tanto da attrarre l’interesse dei mercati, e non solo quello alimentare.
Perchè si chiama trunzu?
Il nome trunzu riprende un epiteto con il quale i catanesi prendono in giro gli abitanti dei comuni dell’Aci, deriva dallo spagnolo e significa “testardo”. Il cavolo trunzu è un presidio slow food che interessa molto l’industria di trasformazione per conto del mercato farmaceutico perché contiene molti minerali e vitamine e la ricerca medica gli attribuisce una forte azione detossificante, proprietà esaltate dai terreni di particolare qualità e dell’ambiente in cui viene coltivato.
Il rilancio del trunzu
Al rilancio del trunzu, riconoscibile perché la parte edule presenta striature violacee, stanno collaborando i dipartimenti di Agraria delle Università di Palermo e di Catania.
“Stiamo lavorando per estendere la superficie coltivata perché il prodotto fresco sta riscuotendo un buon successo sia nel mercato orientale della Sicilia ma anche in altre zone e sul fronte della ristorazione – afferma Salvatore Marino, uno dei quattro produttori del presidio – Ci sono alcune aziende interessate all’impacchettamento per le insalate già pronte e una grande industria vorrebbe acquisire grossi quantitativi per uso farmaceutico. Finora è stato un prodotto di nicchia ma è sempre più apprezzato come abbiamo potuto constatare all’Expo di Siracusa per il G7 grazie a Confagricoltura“.
Per gli agricoltori la priorità, dunque, è quella di incrementare la produzione. Anche per le coltivazioni nella reale dell’Etna l’obiettivo è di ottenere la certificazione Igp, l’iter è nella fase iniziale. “E’ un ortaggio che ha bisogno di pochi interventi colturali e pochissimi trattamenti, è totalmente biologico – aggiunge l’imprenditore agricolo – Non soffre per la siccità proprio perché coltivato alle falde dell’Etna, dove c’è disponibilità di acqua. Tre le varietà, per cui è un cavolo rapa che si può avere tutto l’anno“.