Urge una riforma previdenziale

Sono state approvate per il solo anno 2023 “Quota 103” costituita da 41 anni di contributi sommati ai 42 anni di età

StrettoWeb

Nell’ultima legge di bilancio c’è stato pochissimo per quanto riguarda le pensioni. Sono state approvate per il solo anno 2023 “Quota 103” costituita da 41 anni di contributi sommati ai 42 anni di età, è stata confermata l’Ape Sociale destinata a lavoratori con almeno 63 anni di età che svolgono lavori usuranti ed è stata completamente stravolta Opzione Donna che ha portato l’età a 60 anni con sconto di un anno per un figlio e di due anni per due figli destinata però solamente a caregiver, invalide almeno al 74% e coloro le quali hanno perso il lavoro o siano occupate in un’azienda in crisi. Troppo poco per poter dire di aver modificato la troppo rigida legge Fornero che resta la legge di riferimento in Italia e che permette il pensionamento a 67 anni di età oppure in alternativa accedere alla pensione anticipata che necessita per gli uomini di 42 anni e 10 mesi e per le donne di 41 anni e 10 mesi a cui bisogna aggiungere i tre mesi di finestra. Questo a detta della Premier Meloni e del Ministro del Lavoro Calderone sarà l’anno, finalmente, della nuova riforma previdenziale nella quale gli italiani si aspettano una decisa svolta. Io credo che le cose essenziali da attuare siano in primis la separazione tra previdenza ed assistenza. Non è possibile far gravare sulla previdenza istituti come la cassa integrazione, il reddito di cittadinanza, gli assegni sociali, le integrazioni al minimo della pensione. Queste sono voci che devono essere a carico della fiscalità generale e se fosse attuata questa separazione il rapporto debito/PIL che ora sulle pensioni è al 16,7% il secondo più alto in Europa dopo la Grecia, scenderebbe a 12,8% perfettamente in linea con gli altri Paesi europei.

Altro provvedimento da attuare è quello dei 41 anni per tutti uomini e donne indipendentemente dall’età e senza penalizzazioni. Ritengo che 41 anni di lavoro effettivamente svolti siano più che sufficienti per poter andare in pensione. Oltretutto il costo per l’Erario negli anni andrebbe progressivamente a diminuire perché in questi ultimi anni le persone cominciano ad entrare nel mondo del lavoro sempre più tardi a causa di percorsi universitari o purtroppo per carriere frammentarie e di conseguenza nei prossimi anni saranno sempre meno le persone che riusciranno ad avere 41 anni di contributi. Concedere poi un’amplissima flessibilità che parta dai 62 anni ed arrivi fino a 70 anni con penalizzazioni ed incentivazioni a partire dai 66 anni di età. In particolare, a 65 anni la penalizzazione sarebbe dell’1,5%, a 64 del 3% a 63 del 4,5% e a 62 del 6%. Allo stesso tempo le incentivazioni sarebbero del 1,5% annuo fino a raggiungere i 70 anni. Il costo per l’erario sarebbe molto basso perché l’esborso che si avrebbe per chi decidesse di uscire prima dal mondo del lavoro sarebbe compensato, almeno in parte, da chi invece rimanesse qualche anno in più usufruendo per meno anni dell’assegno previdenziale.

In questo modo il lavoratore sarebbe posto al centro della questione. Sarebbe cioè lui a scegliere rispettando solamente il fatto di avere almeno 20 anni di contribuzione se uscire prima dal mondo del lavoro e di conseguenza percepire un assegno previdenziale più basso o se invece rimanere anche oltre l’età ordinamentale della pensione e incrementare in questo modo la sua pensione. Sarebbe un modo rivoluzionario di intendere la previdenza superando la rigidità della legge Fornero mettendo il lavoratore al centro della scena. Dare poi una forte implementazione alla previdenza complementare che di fatto sarà la seconda gamba del sistema previdenziale concedendo detrazioni fino al 50% di quanto versato e riducendo anche i costi per il riscatto della laurea che hanno ormai raggiunto cifre spropositate. Altro aspetto fondamentale da considerare, a mio parere, è quello di aggiornare i coefficienti di trasformazione per implementare gli assegni previdenziali che con l’introduzione del sistema contributivo si stanno riducendo progressivamente di anno in anno e che rischiamo, se non si interviene, di essere al limite della povertà.

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