Che noia la vita di Milano, tre giovani si trasferiscono in Calabria: “adesso alleviamo bachi da seta imparando dagli anziani di San Floro”

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Tre giovani che lottano per il riscatto della Calabria, poco valorizzata ma dalla prospettiva di ricchezza infinita. Insieme alla cooperativa locale hanno rilanciato il turismo e l’allevamento dei bachi da seta a San Floro (Catanzaro)

Un lavoro ce l’hanno, la laurea anche, ma vuoi mettere la vita di Milano con quella di San Floro? E’ molto simpatica quanto significativa la storia di tre giovani, che hanno scelto di trasferirsi in Calabria per allevare bachi da seta. E’ quanto hanno deciso Miriam Pugliese, 30 anni, alle spalle un lavoro a Milano e poi uno a Berlino; Domenico Vivino, 32enne, laureato in Sociologia con 110 e lode; Giovanna Bagnato, 30 anni, nata e cresciuta in Calabria. Come riportato sulle pagine odierne del Fatto Quotidiano, i 3 giovani hanno scelto di scendere nell’estrema punta dello Stivale, lanciando una cooperativa agricola che vanta seimila visitatori l’anno, un’Accademia della seta con studenti da tutto il mondo e una filiera in collaborazione con le artigiane del territorio. “E pensare che ci prendevano per pazzi, all’inizio – commentano -.  Ci hanno sempre detto che qui in Calabria non c’era niente. Se non c’è niente, abbiamo pensato, allora c’è tutto da fare”.

La vicenda è iniziata una sera d’estate Miriam, Domenico e Giovanna si ritrovano a San Floro: “siamo amici da sempre – raccontano – e volevamo fare qualcosa per il nostro territorio. Siamo partiti dalle nostre radici, miscelando tradizione e innovazione”. Nel 2015 chiedono al Comune di poter ottenere la convenzione per lavorare circa 5 ettari di terreno in disuso, assieme ad un museo della seta all’interno di un vecchio castello: “il recupero e rispetto della tradizione sono un pilastro fondamentale della nostra cooperativa e filosofia di lavoro”. Specialmente in questo borgo, immerso fra le colline della provincia di Catanzaro, la lavorazione della seta è, appunto, una tradizione molto radicata che col tempo sta sempre più andando persa.

“Quando abbiamo iniziato non eravamo esperti né di seta né di bachicoltura – sorride Miriam – . Abbiamo seguito gli anziani che lavoravano nella filiera serica del borgo, cercando di impararne i segreti”. I tre amici sono stati poi in Asia, in Thailandia, India e Messico, dove hanno studiato modi non convenzionali per la lavorazione della seta, “e così abbiamo pensato di creare un sistema di artigiani e di coinvolgere (al 90%) le donne del territorio, che ci aiutano a lavorare la fibra”. In più è nata una vera e propria Accademia per tramandare la lavorazione serica: “mai potevamo pensare ad un’affluenza da diverse parti del mondo: Argentina, Inghilterra, Finlandia”. Sveglia presto, giornate piene con ritmi serrati. “Non vogliamo vivere in posti dove non si vede più il cielo”, sorridono. Miriam, Domenico e Giovanna hanno cercato di riprodurre tutta la filiera serica, dall’allevamento del baco, passando per la lavorazione delle more di gelso, l’agricoltura biologica, l’agriristoro.

L’ostacolo più grande, come al solito è la burocrazia. E per il mento un aiuto dallo Stato non si è visto visto. “I finanziamenti mirati a sostenere determinate attività – spiega Domenico – , specie in aree svantaggiate come la nostra, sarebbero importanti. Ad oggi gli aiuti regionali o europei nei nostri confronti sono pari a zero”. Con l’emergenza sanitaria legata alla pandemia si è “ripensato il modo di fare impresa”, puntando sul commercio online: i ragazzi di Nido di Seta hanno creato dei kit per l’allevamento del baco e la filatura da casa. Durante il lockdown, così, “tantissimi ragazzi e ragazze hanno provato l’emozione di allevare i bachi da seta nella propria casa, proprio come si faceva un tempo”. In più è stata lanciata la campagna #adottaungelso, il primo progetto di agricoltura condivisa del settore, con centinaia di iscrizioni raccolte persino negli Stati Uniti.

“La nostra sfida è un riscatto sociale che parte dal basso, stiamo ravvivando l’economia di un territorio, diamo un’altra idea di una regione martoriata solo da notizie di cronaca nera. Facciamo quasi seimila visitatori l’anno che arrivano, visitano e consumano sul territorio”, sottolineano i ragazzi che si ritengono contenti della scelta di vita intrapresa. E’ fantastico lottare per il riscatto di questa terra, poco valorizzata ma dalla prospettiva di ricchezza infinita. Il ricordo più bello rimane quello del primo pullman di americani arrivato per visitare l’azienda: “gli anziani del Paese sono usciti dai balconi per capire chi fossero”, raccontano sorridendo. Miriam, Domenico e Giovanna non vogliono dare consigli né creare falsi miti perché sono “sicuri che ogni territorio del nostro Paese possiede delle ricchezze nascoste. Quello che possiamo fare è cercare di custodirle e valorizzarle. Noi, almeno, ci abbiamo provato. E tra 10 anni – concludono – ci immaginiamo ancora qui, in Calabria, con le mani nella terra e la seta tra le dita”.

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