Il Coronavirus e la scuola, l’allarme dal Bambin Gesù: “I giovani tentano il suicidio, mai così tanti da novembre ad oggi”

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Coronavirus, il pesantissimo allarme lanciato dal Bambin Gesù sul tema scuola e giovani: “Mai così tanti hanno tentato il suicidio come negli ultimi mesi”

Per proteggere bambini e ragazzi dal Coronavirus, gli stessi sono stati esposti ad altri tipi di “contagio”, quello psicologico soprattutto. La chiusura delle scuole, o meglio ancora questa continua “guerra tra poveri” che va avanti da un anno, è la causa scatenante di un problema gravissimo segnalato da Stefano Vicari, responsabile di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. L’esperto, intervistato da “Huffingtonpost“, ha evidenziato il preoccupante dato sui giovani: “Dal mese di ottobre ad oggi, quindi con l’inizio della seconda ondata –ha detto – abbiamo notato un notevole rialzo degli accessi al pronto soccorso con disturbo psichiatrico, nel 90% sono giovani tra i 12 e i 18 anni che hanno cercato di togliersi la vita. Se nel 2019 gli accessi al pronto soccorso erano stati 274 – prosegue – nel 2020 abbiamo superato quota 300. Mai come in questi mesi, da novembre a oggi, abbiamo avuto il reparto occupato al 100 per cento dei posti disponibili, mentre negli altri anni, di media, eravamo al 70 per cento. Ho avuto per settimane tutti i posti letto occupati da tentativi di suicidio e non mi era mai successo. Al pronto soccorso si registra un ricovero al giorno per ‘attività autolesionistiche’”.

Dei numeri paurosi, sintomo di uno stato di abbandono totale nei confronti della categoria umana più fragile dal punto di vista psicologico. L’adolescenza, infatti, è quella fase della vita in cui il supporto morale – da genitori o amici – viene accompagnata all’aspetto sociale. E questo, nell’ultimo anno, è stato praticamente annullato. “Stiamo assistendo a due fenomeni – dice ancora Stefano Vicari – da una parte, abbiamo gli adolescenti che per autoaffermarsi diventano aggressivi, fanno male agli altri, fanno male ai genitori, si tagliano, diventano intrattabili. Dall’altra, abbiamo i giovani che si chiudono a riccio, si rifugiano nel loro mondo e nella loro stanza e non sappiamo se avranno voglia di uscire fuori da questo guscio, una volta passata la tempesta. Il fatto è che la pandemia sta facendo aumentare lo stress e lo stress facilita la comparsa di una serie di disturbi, principalmente disturbi d’ansia, disturbi del sonno e depressione. Aumentano per una serie di fattori: prima di tutto, c’è la paura di ammalarsi che i bambini e i ragazzi ‘respirano’ dentro casa. Poi c’è l’assenza del gruppo dei coetanei che fa da ammortizzatore. Un adolescente – lo siamo stati tutti e lo sappiamo benissimo – parla poco con mamma e papà. Se deve raccontare un problema preferisce confrontarsi con un amico, con il compagno di banco. Questa interazione in presenza non c’è più e a distanza non è la stessa cosa”.

Secondo Vicari è “proprio l’assenza della scuola ad aver ‘pesato’ così tanto sugli adolescenti. Continuiamo a pensare che la scuola sia solo didattica: questo è un errore gravissimo. La scuola non può essere vista come luogo di preparazione al mondo del lavoro ma come luogo di formazione del carattere e della conoscenza. All’interno della scuola si cresce culturalmente, ma non solo. Ci si riscatta, ci si afferma. Anche chi appartiene a contesti umili, tramite la scuola può studiare e riscattarsi. Se la scuola non c’è, l’affermazione di sé passa attraverso valori negativi: le risse per strada, l’autolesionismo, i litigi violenti, con compagni e genitori. I giovani hanno necessità di ribellarsi, ma più riduciamo gli spazi di possibile ‘deragliamento’, gli spazi in cui possono infrangere le regole sotto lo stretto controllo dell’adulto – come appunto, le scuole – più queste ribellioni diventano violente. Chi dice che i giovani non stanno soffrendo questa pandemia perché ‘non stanno mica combattendo la guerra’, sbagliano di grosso. Ai ragazzi è stato chiesto di fare uno sforzo enorme in questi mesi: allontanarsi dai propri compagni, dalla propria routine, da tutto quello che prima costituiva il loro mondo. Chi ha gli strumenti giusti, ovvero risorse economiche, famiglie solide alle spalle, può cavarsela. Ma chi vive in periferia, in contesti poveri con genitori con rapporti conflittuali: ecco, per questi giovani la permanenza in casa non è così facile. Sono costretti a cercare altre valvole di sfogo”.

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