Totò Riina: vent’anni fa l’arresto. Ma cosa è cambiato da allora?

StrettoWeb

Il 15 gennaio 1993, alle ore 9 circa, un Citroen ZX lascia una villa di Palermo in via Bernini, imbocca il Viale Regione Siciliana in direzione nord, e dopo un chilometro e mezzo raggiunge la rotonda di piazza Kennedy. A bordo ci sono due uomini, Salvatore Biondino e Salvatore Riina, meglio conosciuto come Totò. L’auto viene bloccata da altre due vetture, dalle quali scendono un pugno di carabinieri guidati dal capitano Ultimo (all’anagrafe Sergio De Caprio). Armi spianate, De Caprio e i suoi mettono le manette a Totò U Curtu, detto anche Totò La Belva. Arrestano finalmente Totò Riina, il numero uno di Cosa Nostra.

Sono passati vent’anni da quel giorno, e della fine del Totò Riina boss se ne è parlato tanto e se ne continua a parlare. Sul momento l’arresto è stato visto come un grande successo, una spallata pesante alla criminalità organizzata. Riina era l’emblema della mafia che spara e che mette le bombe, responsabile di decine di omicidi e degli attentati ai giudici Falcone e Borsellino. La cattura di Riina è stata la vendetta dello Stato sui boss, è l’inizio di una svolta nella lotta alla mafia. Ma per alcuni la realtà dei fatti è un’altra. C’è chi dice che Riina sia stato “consegnato” da Bernardo Provenzano nell’ambito della trattativa Stato-mafia. Ormai ritenuto una mina vagante, Zù Binu decide di mettere sul piatto Totò U Curtu, e fare un passo in favore delle istituzioni. Un passo in prospettiva, perché lui resterà latitante altri 13 anni, fino al 2006. E Matteo Messina Denaro, che con Riina si doveva forse incontrare quel pomeriggio del 15 gennaio, lo è ancora ed ha preso le redini di Cosa Nostra, nascosto chissà dove, probabilmente tra le province di Trapani e Palermo. Ci si chiede anche perché, nelle ore successive alla cattura, la villa di Riina non si stata perquisita dalle forze dell’ordine, permettendo agli uomini del boss di ripulirla da ogni indizio utile ad altre indagini.

E cosa è cambiato da vent’anni a questa parte? Provenzano è ormai alla fine dei suoi giorni, in coma in un letto d’ospedale. Riina sta scontando in regime di 41bis diverse condanne all’ergastolo. Messina Denaro è ancora un fantasma imprendibile, ma lo si diceva anche degli altri due, e chissà che prima o poi lui o uno dei suoi fedelissimi non faccia un passo falso. E la mafia è cambiata? Decisamente sì. È ancora la mafia che spara – a Barcellona due omicidi in un mese –, che  minaccia, che pretende il pizzo. Ma c’è di più. Ora la mafia non è più questione dei corleonesi, del criminale di strada che scala i vertici dell’organizzazione. Perché proprio ai vertici ora c’è una nuova classe criminale, quella che il giornalista Antonio Mazzeo chiama “borghesia mafiosa”, concetto ribadito in un’ampia intervista che ha concesso a StrettoWeb qualche tempo fa (leggi qui).

I nuovi padrini sono avvocati, imprenditori, professionisti. Figure che vanno a braccetto con certa politica locale che si presta alla collusione e alla corruzione, e che affossa la crescita economica e sociale. E non più solo in Sicilia, perché ormai mafia e ‘ndrangheta hanno “colonizzato” anche il nord. La criminalità organizzata non è più solo una “questione meridionale”, ma italiana, e la mafia da un certo punto di vista oggi è più forte, nascosta e inestirpabile che mai.

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