Inaccettabile a Genova: calciatori ostaggi dei loro stessi tifosi

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Immagini come quelle di ieri, viste sul campo “Ferraris” del Genoa, fanno riflettere, devono far riflettere per la loro estrema gravità. La squadra di casa, sotto per 4-0 contro il Siena, è stata minacciata da un gruppo di tifosi che ha imposto la sospensione della partita arrampicandosi sulle balaustre, salendo sopra al tunnel degli spogliatoi e gettando in campo oggetti, fumogeni  e petardi. Ma non è tutto. I presunti tifosi hanno addirittura obbligato i calciatori a togliersi le magliette e consegnarle al capitano Marco Rossi: “Via la maglia o non uscite!” Una minaccia gravissima. I giocatori hanno incredibilmente obbedito. L’ex reggino Giandomenico Mesto è scoppiato a piangere. Vani sono stati i tentativi del presidente Preziosi, entrato in campo a cercare di calmare le acque. Il calabrese Giuseppe Sculli, unico atleta ad aver rifiutato categoricamente di rimuoversi la casacca, è invece riuscito a convincere i tifosi a far riprendere la partita dopo 40 minuti di sospensione. Sentire che molte persone sono andate via dallo stadio per evitare possibili incidenti è triste, disarmante: il calcio italiano è per l’ennesima volta morto.

Ci si chiede come si fa a portare i bambini allo stadio, sapendo che c’è il rischio che accadano cose del genere. Ci si chiede perché non si riesce a protestare semplicemente abbandonando lo stadio, in maniera educata e silenziosa. Ci si chiede per quale assurdo motivo gli stessi tifosi che si schierano contro la tessera del tifoso, dimostrano di meritare controlli ancora più stretti. Ci si chiede che senso ha ancora domandarsi il motivo per cui gli stadi non sono più pieni come una volta. Ci si chiede a cosa serve fermarsi per la morte di Morosini, se poi la­ domenica successiva succede questo. Ieri in Inghilterra il Wolverhampton è retrocesso dopo aver perso contro il Manchester City. I giocatori sono stati salutati dai loro tifosi con applausi e cori. Ci si chiede perché, notizie come queste, in Italia, rappresentino la voce fuori dal coro e non l’assoluta normalità.

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