I patrocini in Italia: anche i gay li richiedono, ma vogliono attaccare il Governo

I patrocini in Italia li richiedono ormai tutti: nel caso degli omosessuali, questi vogliono la botte piena e la moglie ubriaca

StrettoWeb

Tutto, o quasi tutto, viene patrocinato in Italia: spettacoli, conferenze, marce, fuochi d’artificio; dalla Presidenza della Repubblica in giù nessuno nega a nessuno l’alto patrocinio, che spesso significa anche un contributo monetario. Esclusi, of course, gli anarchici, anche i più estremi libertari – come gli omosessuali e c. – sono pronti a rinunciare al piacere di essere liberi fino in fondo – cioè di non apparire in alcun modo ‘dipendenti’ da chicchessia – pur di ottenere le coccole di Regioni, Provincie e Comuni, etc. (tra i patroni più attivi c’è il sindaco Sala) per offrirci i loro spettacoli spesso di dubbio gusto. Ma pretendono di non subire rifiuti.

Dai loro ‘patroni’ vogliono un blasone che ne copra tutti i comportamenti e fini anche quelli che eventualmente possano configurare l’apologia di reato: per esempio la Regione Lazio, dopo avere concesso il proprio patrocinio al cosiddetto gay pride da svolgersi a Roma, lo ha dovuto ritirare perché il programma di questa manifestazione prevedeva tra l’altro la promozione della ‘maternità surrogata’, notoriamente vietata in Italia. Inoltre gli orgogliosi gay avevano preparato un ‘manifesto’ per lanciare un attacco politico contro il governo Meloni e la maggioranza che lo appoggia e che, tra l’altro, è la stessa che sostiene il governo regionale del Lazio.

Fin qui niente di male. Il ‘manifesto’ è legittimo e nessuno lo contesta. Con tutta la simpatia che si può avere per questi ‘orgogliosi’ libertari dobbiamo dire però che essi non possono volere, anche in questo caso, la “botte piena e la moglie ubriaca”, cioè il patrocinio della regione e attaccarne il governo: sarebbe ‘contro natura’.

La revoca del patrocinio e le polemiche del Pd

La decisione di revocare il patrocinio presa dal presidente Francesco Rocca ha naturalmente suscitato un elevato dibattito: nel Pd il primo a urlare alla deriva autoritaria (grande classico di questi tempi) è stato l’On. Alessandro Zan, che si è avvalso del megafono gentilmente concesso dal direttore della Stampa: “Questa è omofobia di Stato. Usano pregiudizi ancora presenti nel Paese, per alimentarli e discriminare una parte dei cittadini. Esattamente come faceva il fascismo“.

Poi, nella berlingueriana Cartabianca, Elly Schlein ha rincarato la dose parlando di “bullismo istituzionale” mentre l’eurodeputata – in cerca di riconferma – Alessandra Moretti ha dato una mano alla geniale e lungimirante segretaria del suo partito scrivendo che l’Italia “rischia di diventare un paese retrogrado sui diritti civili e dunque rischia di indebolirsi nel suo spirito democratico”.

Angelo Bonelli – il verde anche nell’incarnato – si è accontentato invece del più classico dei classici allarmi: “segnale della deriva illiberale di questa destra”. Questi tutori della libertà di pensiero e dell’obbligo di patrocinio non avevano battuto ciglio, anzi avevano in qualche modo avallato l’impresa degli eroi che hanno zittito la Roccella al ‘salone’ del libro di Torino e, nel 2016, avevano applaudito il ‘democratico gayfriend’ sindaco Sala, che non aveva ‘patrocinato’ il Family day.

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