“Mi chiamo Giuseppe Di Matteo, che i vostri figli non abbiano a soffrire quel che ho sofferto io”

Rapito a 13 anni e ucciso a 15: la lettera post mortem del piccolo Giuseppe Di Matteo commuove e strazia, ma offre una verità alla quale non siamo abituati

StrettoWeb

I social sono un luogo pessimo, dicono. I social sono un pericolo per i giovani e per gli adulti, dicono. Sui social circolano solo fake news, dicono. State lontani dai social, dicono ancora. Eppure oggi, gironzolando sui social e in particolare su Facebook, mi sono imbattuta in un post di Padre Maurizio Patriciello sul quale mi sono soffermata a lungo. L’ho letto e riletto più volte. Mi sono fermata a riflettere, a commuovermi, a pensare che forse tutto dipende dalla chiave di lettura.

Già, perché è dall’8 marzo che scrivo di Matteo Messina Denaro. E’ dall’8 marzo che io, e migliaia di altri colleghi giornalisti, raccontiamo del suo arresto, della sua vita durante i 30 di latitanza, di chi lo ha coperto, di chi lo ha amato (se amore si può chiamare quello per un assassino impenitente). Ho parlato di tutto, mi sono detta leggendo quel post, anche delle sue vittime, ma proprie di queste ho raccontato poco. Troppo poco.

Giuseppe Di Matteo

Tra i morti per mano o per decisione di Matteo Messina Denaro, la vittima più tristemente nota è il piccolo Giuseppe di Matteo, figlio primogenito di Mario Santo Di Matteo, ex mafioso che ad un certo punto ha deciso di diventare collaboratore di giustizia e per questo motivo gli hanno ucciso il figlio. Strangolandolo e sciogliendone il corpo nell’acido. Giuseppe aveva solo 13 anni.

Ed è proprio in lui che Padre Maurizio Patriciello si immedesima, scrivendo una sorta di lettera post mortem. Missiva firmata proprio, ipoteticamente, dal piccolo di Matteo.

La lettera

Mi chiamo Giuseppe. Giuseppe Di Matteo. Sono un bambino. Non ho ancora 13 anni. Sono felice. Quando sto con i cavalli sono felice. “ Vieni, ti porto da tuo padre” mi ha detto il “ poliziotto”. Sorrideva. Aveva il volto buono. Il mio cuore scoppia dalla gioia. Era una bugia.

Da allora – quanto tempo è passato?- non ho più visto papà, la mamma, il nonno, la mia amica. Non ho più visto il sole, il mare, gli alberi, i fiori. Non sono andato a scuola. Non ho capito niente. Sono sempre stato solo. A Natale. A Pasqua. A Ferragosto. Un anno? Due? Tre? Non lo so. Non so niente io. La morte arrivò come una grazia. Mi hanno detto che avevo 15 anni. Finalmente! Quanto ti ho invocato, sorella. Il resto è poca cosa. L‘acido? Nemmeno me ne accorsi.

Adesso ho voglia di parlare. Se sei disposto ad ascoltare. Voglio raccontarti le mie paure. Le mie illusioni. Le mie speranze. I miei pianti. Le mie preghiere. Il desiderio di essere accarezzato. Coccolato. Di prendere a calci un pallone. Di correre nei campi. Di rivedere il mio cavallo.

Mi chiamo Giuseppe. Giuseppe Di Matteo. Nato il 19 gennaio del 1981. Rapito il 23 novembre del 1993. E – mi hanno detto – strangolato l’ 11 gennaio del 1996. A San Giuseppe Jato. Almeno il mio ricordo vorrei che rimanesse vivo. Non per me. Per voi stessi. E per i vostri figli. Perché non abbiano a soffrire quel che ho sofferto io“.

Potevo essere io

Questa la lettera che leggo e rileggo, e che mi commuove e mi commuove ancora. E allora io voglio ringraziare Padre Maurizio Patriciello, perché mi ha offerto una chiave di lettura di diversa. Mi ha ricordato che Giuseppe aveva la mia età, era nato nel mio stesso anno. E che Giuseppe potevo essere io, poteva essere chiunque di noi. Non solo. Mi ha ricordato anche che gente come Messina Denaro non è degna di essere considerata “un personaggio” da raccontare, ma semmai di cui raccontare i reati, le malefatte e la crudeltà gratuita. Affinché i miei figli “non abbiano a soffrire quel che” ha sofferto il piccolo Di Matteo.

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