“Derive Festival” e “Scilla Jazz Festival” si incontrano sul palco con il cantautore Carmine Torchia

  • Foto di Marco Costantino
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StrettoWeb

Al termine della serata parlano con noi Carmine Torchia ed Ettore Castagna, polistrumentista e Direttore artistico del “Derive Festival”

La splendida collaborazione tra il “Derive Festival” e lo “Scilla Jazz Festival” con Carmine Torchia che ha portato sul palco il cantautorato italiano e le sonorità tradizionali con Ettore Castagna, ha incantato il pubblico di Piazza San Rocco e tracciato una linea di continuità nella cultura musicale del nostro territorio.

Ancora una serata di entusiasmo, nella magnifica cornice di Scilla, partita con Carmine Torchia che ha coinvolto il pubblico con una selezione dei suoi brani dalle note lievi che veicolano parole intense e significati profondi.
Torchia ripropone sul palco anche “la solitudine” di Leo Ferrè che fa proprio come un grido disperato e regala agli astanti pezzi legati a suggestioni letterarie di narratori come Marquez che costruiscono brani come “Il garofano e la spada”, ma anche ispirazioni nate da un sogno come “Case popolari” in cui una folla di personaggi si incontra per dar vita a una teoria di storie significative e “Dio non è un santo”, dal riff trascinante.

Proprio con questo brano si chiude la prima parte del concerto aprendo alla seconda che accoglie sul palco il polistrumentista Ettore Castagna e il percussionista Simone Martino.
Con loro cambia l’atmosfera sonora poiché introducono la tradizione della nostra terra e il nostro dialetto portando sonorità calde e ricercate attraverso un catalogo di strumenti antichi e tradizionali che sfilano in rapida successione: zampogna della Sila catanzarese, marranzano, flauto armonico, doppio flauto, lira, una chitara (ricostruzione di un antico strumento magno greco), impreziosiscono ogni brano.

La ricerca poetica caratterizza questa seconda parte della serata e gli artisti ci propongono “viernu è vicinu”, una malinconica ninna nanna del poeta di Decollatura Michele Pane, “A mancanzella” ispirata a una filastrocca che la nonna recitava a Torchia e “La rosa nel bicchiere” di Franco Costabile, con cui regalano un ritmo incalzante alle ultime battute del concerto.
Il pubblico chiede l’immancabile bis e gli artisti tornano sul palco con un’ultima poesia in musica, attraverso cui conducono ancora una volta alla riscoperta delle sonorità del nostro passato, riproposte in un’identità ibridata con le esperienze personali dei musicisti.

Torchia e Castagna dialogano con noi al termine della serata, e chiediamo:

Carmine, dai tuoi brani emerge un grande interesse letterario per le parole, quanto, nei testi dei tuoi brani, deriva dalla ricerca della parola poetica?

Io sono un musicista di estrazione rock, ma a un certo punto ho maturato un interesse verso la poesia e credo che questo interesse mi abbia fatto virare verso la canzone inoltre, mi ha sempre regalato suggestioni stimolandomi ad esprimere dei concetti che con un linguaggio quotidiano non riuscirei a esprimere.
In questo senso si inserisce anche la mia riproposizione di brani di altri autori, perché leggere certi testi e ascoltare certi dischi diventa un percorso formativo che ti insegna a guardare da una prospettiva diversa.
Parlaci del tuo nuovo progetto
Sarà un disco destabilizzante rispetto agli altri lavori che ho prodotto. Mi sono affidato ad Ettore (Castagna n.d.r.), che è uno dei più grandi conoscitori della musica popolare del sud Italia, e quando ho scritto questo disco sono subito andato a cercarlo per proporgli questo lavoro perché avevo bisogno di qualcuno che mi potesse supportare. Avevo in mente queste reminiscenze popolari, anche se si tratta sempre di un disco d’autore, ma con sapori che nessuno meglio di Ettore avrebbe potuto darmi.
Queste commistioni tra gli strumenti popolari e il bagaglio culturale personale creano delle proposte musicali che io non ho mai ascoltato e questo mi piace particolarmente, perché se avessi dovuto fare qualcosa di simile a quello che ho sperimentato in passato sarei stato il primo a morire di noia. È un disco importante, non voglio esagerare ma ho la sensazione che possa essere il più importante.

Ettore, tu sei il Direttore artistico di una manifestazione d’eccellenza come il “Derive Festival”, che ne pensi di questo incontro con lo “Scilla Jazz Festival”?

Tutte le esperienze di collaborazione e di rete sono sempre un bene, purtroppo la Calabria ha una malattia che è l’anticollaborite, le vecchie dinamiche di vicinato della Calabria contadina si sono smarrite nel contesto urbano così come nella vita culturale, artistica ed economica; invece è importante fare rete a tutti i livelli per consentire una spinta in avanti alla realtà sociale, economica e culturale del nostro territorio.
Che due festival collaborino non è solo una buona notizia, è il minimo che dovrebbero fare e si potrebbe fare ancora tanto di più. Non è un rimprovero ma un invito che viene da un’esigenza perché come nel concerto di questa sera anche i festival si possono ibridare e trovare pezzi di cammino da compiere insieme.

Quindi com’è stato suonare qui stasera?

Castagna: Questa serata è stata la dimostrazione che queste collaborazioni rendono perché si può pescare in due pubblici che altrimenti resterebbero limitrofi senza mai incontrarsi e invece arricchire questo pubblico comune fa solo bene, sia al cuore che alla programmazione culturale.
Torchia: All’inizio avevo un po’ di timore perché non è una situazione raccolta e d’ascolto come il Castello e mi sono chiesto se avrebbe funzionato, invece il pubblico ha risposto benissimo e non possiamo che sperare di ripetere l’esperienza.

Il prossimo appuntamento con lo “Scilla Jazz Festival” sarà al Castello Ruffo con il jazz di Paolo Angeli che si esibirà il 10 agosto alle 22,30 accompagnato dalla sua chitarra orchestra dotata di 18 corde, martelletti come il pianoforte, eliche per la realizzazione di bordoni e melodie assimilabili alla ghironda – suonato in pizzicato, con l’archetto, in funzione rumorista e percussiva.

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