Personaggi storici messinesi: il poeta Felice Bisazza. Dalla corrente romantica e religiosa alla morte di colera: rifiutò le cure

StrettoWeb

Il consueto viaggio di StrettoWeb tra i personaggi storici messinesi ci porta alla scoperta del poeta Felice Bisazza

Tra i personaggi che hanno fatto la storia di Messina, all’interno del consueto viaggio di StrettoWeb, un posto importante lo trova anche Felice Bisazza, poeta e letterato nato nella città peloritana nel 1809.

Si appassionò quasi subito agli studi letterari, dopo aver frequentato il Collegio Carolino di Messina, deludendo le aspettative del padre che lo voleva avvocato. Affinò le sue doti collaborando in prosa e in versi, ancora minorenne, con numerosi giornali locali siciliani, e a 20 anni arrivò la sua prima pubblicazione assoluta, Saggi Poetici, che riscosse successo e ammirazione da numerosi letterati e gli valse l’onorificenza della Croce di cavaliere da parte del Re Ferdinando II delle due Sicilie. Ma, soprattutto, acquisì l’appellativo di “Il Manzoni della Sicilia” per via della vena romantica e ricca di sentimenti religiosi che riusciva a trasmettere attraverso gli scritti e che diventò “ufficiale” con la pubblicazione de Sul Romanticismo, opera con cui voleva far conoscere e promuovere questa sua nuova corrente.

Contemporaneamente all’attività di poeta non abbandonò del tutto quella di giornalista, spostandosi anche in varie parti dell’isola per la collaborazione con diversi quotidiani. Fu per questo direttore del giornale “L’amico delle donne” ma anche traduttore di numerose opere – tra cui La Morte di Abele – e librettista. Il suo forte influsso romantico e religioso rimase anche in altri lavori, come Il Settentrione, Sulla Dignità Poetica, Fede e Dolore, l’ultima sua opera assoluta, mentre nel frattempo diventata un’importante personalità culturale all’interno del territorio messinese ma anche siciliano in generale. Strinse per questo amicizie di un certo rilievo e fu nominato docente di Letteratura italiana all’Università di Messina nel 1851.

Morì a Messina il 30 agosto del 1867, all’età di 58 anni, a causa di un’epidemia di colera, scegliendo autonomamente di non procedere all’assunzione di alcun tipo di farmaco o cura da parte dei medici, ma dedicandosi esclusivamente alla preghiera, in mezzo però ad atroci sofferenze. Anche in punto di morte la strada romantica e religiosa ebbe il sopravvento sul suo modo di pensare e sul suo stile di vita. A questo proposito è infatti rimasta impressa una sua frase: “Dovunque io mi rifugga, la spada di Dio mi raggiungerà se Egli vuole colpirmi e, se vuole colpirmi, ciò non può essere un male, perché Dio è un bene!”. Inizialmente sepolto nel cimitero dei colerosi a Maregrosso, la sua salma venne successivamente spostata al Gran Camposanto, dove oggi riposa nella zona in cui sono conservati gli uomini illustri della città. A Messina gli furono intitolati l’Istituto Magistrale di Via Catania e una via del centro cittadino.

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