Addio Dpcm, l’era Conte è finita: per le norme anti-Covid il premier Draghi farà normali dl passando dal parlamento

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Coronavirus, il cambio di passo di Mario Draghi: il nuovo premier è intenzionato a non continuare a varare Dpcm come il suo predecessore Giuseppe Conte per la gestione della pandemia

Addio Dpcm. Il nuovo premier Mario Draghi ha intenzione di mettere in soffitta la modalità d’emergenza (e di accentramento di potere unico nella storia della Repubblica) adottata dal suo predecessore Giuseppe Conte per la gestione della pandemia di Coronavirus. Il nuovo Governo sta valutando come orientarsi per le prossime norme anti-Covid, che saranno adottate a partire dal 5 marzo con la scadenza del vecchio Dpcm di Conte attualmente in vigore. Secondo le informazioni trasferite stasera alla stampa, l’intenzione del nuovo esecutivo guidato da Draghi e con in maggioranza anche le forze del Centrodestra (Lega e Forza Italia) che nei mesi scorsi avevano denunciato proprio la modalità del Dpcm che scavalcava il parlamento, e quindi la democrazia, è quella di superare questo tipo di gestione affidandosi a normali decreti legge che verranno approvati dal Governo e poi convertiti in legge dal Parlamento entro 60 giorni, come prevede l’ordinaria legislazione istituzionale. Il Governo ha la stabilità e i numeri per poterselo permettere da un punto di vista politico, purchè riuscirà a tenere aggregate tutte le eterogenee forze della maggioranza.

Proprio in tal senso l’obiettivo è quello di trovare una sintesi tra due linee, una rigorista e una più morbida, con l’obiettivo di arrivare a firmare il nuovo provvedimento, come già fatto per la proroga delle chiusure delle Regioni, con un anticipo di 4-5 giorni rispetto al termine del 5 marzo. Questo il compito di Mario Draghi, che dopo il decreto varato ieri è chiamato a compiere il secondo atto da premier per contrastare la pandemia. Per questo stasera il presidente del Consiglio ha convocato a Palazzo Chigi una riunione con i ministri interessati (presenti Daniele Franco, Maria Stella Gelmini, Roberto Speranza, Giancarlo Giorgetti, Stefano Patuanelli, Dario Franceschini ed Elena Bonetti) e i tecnici Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di Sanità, Silvio Brusaferro, presidente dell’Iss, e Agostino Miozzo, coordinatore del Cts. Proprio Miozzo, uscendo da Palazzo Chigi, ha spiegato di aver “rappresentato al presidente Draghi i dati e i numeri dal punto di vista scientifico. Noi siamo prudenti, ma non abbiamo descritto una situazione di catastrofe imminente“. Il coordinatore del Comitato tecnico scientifico ha assicurato: “Non abbiamo parlato di riaperture, se ne parlerà in un’altra occasione. Venerdì ci sarà una nuova fotografia della situazione, poi vedremo“.

La linea del rigore estremo, però, non vede però tutti d’accordo. Matteo Salvini e la Lega chiedono un allentamento. Stamani il leader del Carroccio è stato a colloquio con Draghi, affrontando proprio questo tema. Salvini vuole “interventi mirati ma senza lockdown” con aperture “dove possibile“. “Non parlo a nome di Draghi, non mi permetto, ma sul ritorno alla vita, dove la situazione lo permetta, siamo sulla stessa linea“, ha assicurato alla fine. Questa posizione, comunque, non è solo della Lega. Anche Stefano Patuanelli, ministro dell’Agricoltura M5s, lavora a un “protocollo per consentire alla ristorazione la ripartenza” e Stefano Bonaccini, governatore Dem dell’Emilia-Romagna e presidente della Conferenza delle Regioni chiede “dove ce lo si può permettere, nelle prossime settimane o nei prossimi mesi, con capienze ridotte, via via riaprire cinema e teatri“. Con queste differenze sul tavolo, trovare un accordo non sarà semplice, ma Draghi vuole fare in fretta. Per il premier non si deve più ripetere quanto avvenuto con lo stop alla riapertura degli impianti sciistici, giunto a poche ore dal via. Un pasticcio che ha caratterizzato l’ultimo anno di Conte ma che il nuovo premier non vuole più ripetere.

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