Storia di “spie” reggine e sottomarini americani

StrettoWeb

di Kirieleison – Gli Stati Uniti d’America sono la più grande potenza del mondo. Gli uomini della sicurezza e dell’intelligence americana sono scelti in base a criteri severissimi, dispongono di strumenti tecnologicamente avanzatissimi e rappresentano il top dell’efficienza.

Tuttavia, recentemente, uno sconosciuto è riuscito a sparare alcuni colpi di fucile verso una finestra della Casa Bianca e, addirittura, un altro sconosciuto armato di pistola è riuscito ad entrare, indisturbato, in ascensore assieme al presidente Obama. Queste ultime notizie di cronaca mi hanno fatto ritornare alla mente un episodio, accaduto alcuni decenni fa presso la base di sommergibili nucleari della marina militare USA, nello stato del Rhode Island, che ha dell’incredibile.

Ero negli Stati Uniti a far visita a mio zio, che allora insegnava nell’Università del Connecticut e avevamo organizzato una gita in macchina da Storrs  (Connecticut) fino all’Oceano. Arrivati sulla costa del Rhode Island, trovammo un  recinto fortificato ed un cartello che indicava una base navale militare. Allora ci chiedemmo “sarà possibile visitarla?” Con la nostra auto ci mettemmo dietro un camion che sostava davanti al passaggio a livello di accesso alla base e dopo che questo fu autorizzato ad entrare, lo seguimmo, parcheggiando comodamente l’auto dove ci sembrò un posto adatto, anche se non c’era l’ombra di altre macchine.

Scendemmo poi dall’auto e io mi avvicinai ad un grande  sottomarino che era affiancato alla banchina, ammirandone i particolari e persino toccandolo, commentando con mio zio sulla mole notevole dell’imbarcazione. Scattammo pure qualche foto ricordo con lo sfondo di quel colosso nero.

Dopo circa un quarto d’ora arrivarono di corsa 6 militari. Due di questi mi afferrarono per le braccia sollevandomi con disinvoltura da terra, nonostante il miei 85 kg, mentre l’altro faceva strada, con la faccia molto seria,  verso la porta di un  edificio vicino. Altrettanto fecero con mio zio, che fu fatto entrare però in un’altra porta. Mi fecero sedere su una sedia e mentre i due bestioni che mi avevo preso mi stavano accanto, l’altro mi chiese: “chi sei“? Iniziò così un interrogatorio durato circa 30 minuti su chi ero, chi era l’altro con me, come ero entrato negli Stai Uniti, cosa ci facevo lì, ma soprattutto come ero riuscito ad entrare in quella base.

Poi il mio interlocutore mi lasciò e tornò con un altro e con mio zio, cui avevano evidentemente fatto le stesse domande e di cui si erano nel frattempo accertati dell’identità. Chiarito che non eravamo spie, l’atmosfera si fece più distesa, tanto che mi fecero persino visitare la stazione radio dopo che dissi loro che ero radioamatore, ma continuarono  a ripeterci “ma come avete fatto ad entrare” e, alla nostra tranquilla risposta “dal cancello con il passaggio a livello”, guardandosi tra loro con  un’espressione che ho ritenuto corrispondente alla nostra quando diciamo “cosi i pacci”.

Non ho indagato. Ma pare che quelli che erano di guardia al cancello non abbiano fatto una gran carriera nella Marina USA.

Condividi