Violenza sessuale e omicidio: tre condanne a morte a Reggio Calabria nel 1937

La sentenza, emessa dalla Corte d’Assise di Reggio Calabria nell’agosto del 1936, condannava all’esecuzione capitale, tramite fucilazione alla schiena, Francesco Mandalari, Domenico Artuso ed Antonino Destefano, per l’omicidio di Maria Teresa Giulia Ferrante, giovanissima donna che i tre avevano sequestrata, violentata ed uccisa

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Si è svolta nella giornata di venerdì 12 aprile la conversazione sul tema “Quelle condanne a morte commutate a Reggio Calabria il 17 febbraio 1937“. Il 27 ottobre del 1930 entrava in vigore il codice Rocco, dal nome del Ministro di grazia e giustizia del Governo Mussolini che principalmente ne curò l’estensione. Alfredo Rocco, portava a compimento anche il suo progetto di ripristinare la pena di morte per i reati comuni, abolita nel Regno d’Italia sin dal 1890.

Il “codice Rocco”

Alfredo Rocco, portava a compimento anche il suo progetto di ripristinare la pena di morte per i reati comuni, abolita nel Regno d’Italia sin dal 1890. Nella pubblicazione di Gianni Aiello, il Massimo della Pena (le condanne a morte nel territorio di Reggio Calabria dal 1808 al 1888, sono documentate le esecuzioni capitali comminate ad autori di reati comuni ma anche ad esponenti del brigantaggio, nonché protagonisti dei moti insurrezionali risorgimentali.

Il periodo considerato, va dal 1808, quindi sotto la legislazione francese, conclusasi nel 1815, al 1888, quando i Savoia erano subentrati ai Borboni da oltre un ventennio. Dalla consultazione della documentazione archivistica le esecuzioni capitali comminate dal 1808 al 1813 furono trentasei. Successivamente dal 1818 al 1859 si ne registrarono quarantasette, mentre dal 1862 al 1886 furono quaranta tre.

A seguito della sua entrata in vigore, il “codice Rocco”, sull’intero territorio della Penisola italiana, nel decennio 1931-1940 le condanne a morte comminate dalle corti italiane per delitti comuni furono 118 e 65 furono effettivamente eseguite, tre di queste pene capitali furono eseguite a Reggio Calabria.

Le condanne a morte

Tre uomini con i ferri ai polsi vengono collocati faccia al muro e bendati, davanti al plotone del Regio Esercito italiano. Il confortatore spirituale, padre Agostino Morisani dell’Ordine dei Predicatori Domenicani, prima dell’esecuzione capitale, impartì a tre condannati a morte i conforti religiosi. Chi erano costoro? Come si arrivò a tali conseguenze? Queste alcune delle cifre che sono state oggetto di analisi a cura di Gianni Aiello (Presidente del Circolo Culturale “L’Agorà”, nel corso della giornata di studi in argomento.

I fatti del 17 febbraio 1937

Erano le prime luci dell’alba di mercoledì 17 febbraio del 1937, quando dal Carcere giudiziario centrale di Reggio Calabria, secondo la cronaca del periodo, uscivano delle macchine, con relativa scorta. Quelle automobili percorsero alcune vie della città che dal carcere di San Pietro conducevano al Cimitero Comunale di Condera, ubicato nella zona collinare della Città. Tale percorso interessò la via Macello, la Via Marina, l’attuale via Cardinale Portanova, per raggiungere l’area cimiteriale, posta nella parte alta della città.

In quell’area, posta all’esterno del Camposanto, vennero eseguite, a mezzo di fucilazione, tre condanne a morte a seguito dell’omicidio di una giovane reggina, che dopo essere stata violentata, venne uccisa e sepolta nel letto di una delle fiumare di Reggio Calabria. In tale area vennero rinvenute tre fosse, in due delle quali erano stati posizionati i cadaveri di due giovani. La fossa vuota, forse sarebbe stata utilizzata per un terzo omicidio o per sviare le indagini. Da qui l’acronimo del “processo delle tre fosse”, che vide coinvolti diversi componenti della malavita organizzata locale.

Nel greto di una delle fiumare della zona sud della Città dello Stretto, vennero ritrovati i corpi di Maria Teresa Giulia Ferrante e di Amedeo Recupero. In un primo momento, le indagini, da parte degli investigatori, non sortirono gli esiti sperati, in quanto si pensò che il mandante di entrambi gli assassinii fosse un’altra persona, poi risultata innocente.

Le indagini

Dopo una serie di inchieste le autorità locali giunsero alle conclusioni, accertando che la morte violenta di Maria Teresa Giulia Ferrante non era relazionata a dispute della criminalità locale, ma a dissidi verificatisi all’interno della famiglia Ferrante. La mandante era stata la matrigna Antonietta Artuso a volerne l’uccisione, in quanto Maria Teresa Giulia nutriva forti sospetti nei suoi confronti a riguardo il tentato omicidio del padre.

La sentenza, emessa dalla Corte d’Assise di Reggio Calabria nell’agosto del 1936, condannava all’esecuzione capitale, tramite fucilazione alla schiena, Francesco Mandalari, Domenico Artuso ed Antonino Destefano, per l’omicidio di Maria Teresa Giulia Ferrante, giovanissima donna che i tre avevano sequestrata, violentata ed uccisa.

Queste alcune delle cifre che sono state oggetto di analisi da parte di Gianni Aiello (Presidente del Circolo Culturale “L’Agorà”). La conversazione, organizzata dal sodalizio culturale reggino, sarà disponibile, sulle varie piattaforme Social Network presenti nella rete, a far data da venerdì 12 aprile.

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