“Crotone: due navi, una città”: se ne parla al corso di Archeologia e Storia del Gak

Nella XII lezione del Corso di Archeologia e Storia organizzato dal Gak si tratterà il tema: "Crotone: due navi, una città"

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Giovedì prossimo 18 aprile, dalle ore 17,00 alle ore 19,00, presso la Sala Margherita, con il patrocinio del Comune di Crotone e nell’ambito delle iniziative di collaborazione già in atto, avrà luogo la XII lezione del Corso di Archeologia e Storia organizzato dal Gak. Il dott. Giulio Grilletta, che ha già partecipato ad altre edizioni dei nostri corsi, relazionerà sul tema: “Crotone: due navi, una città“.

Presentazione

“Una bella storia di uomini e di mare unisce Genova a Crotone. Al centro di essa c’è un vecchio posamine che in origine apparteneva alla Marina imperiale germanica. Preda bellica della prima guerra mondiale, fu incorporato nel naviglio della Regia Marina e chiamato prima Abastro (1921), poi Cotrone (1925) e infine Crotone (1931), nome col quale navigò fino alla conclusione della seconda guerra mondiale.

All’indomani della Liberazione giaceva affondato nel porto di La Spezia. Nel 1947 fu recuperato, sottoposto a lavori di trasformazione e finalmente, nella primavera del 1951, ormeggiato nel porto di Genova e per dodici anni utilizzato come nave scuola della Fondazione Garaventa. La storia di questa nobile realtà ligure cominciò nel lontano 1883, allorquando il professor Nicolò Garaventa, docente di matematica presso il civico liceo Andrea Doria di Genova, fondò un’istituzione che si proponeva di strappare ai vicoli malfamati della città i ragazzi traviati dalle miserie della vita affidando a una nave il ruolo di piattaforma educativa e di riabilitazione sociale.

Erano tempi assai difficili. Alla miseria si accompagnavano il degrado sociale e la delinquenza. I minori dediti al ladrocinio e all’uso del coltello, piuttosto che a giochi innocenti e alla lettura dell’abbecedario, erano parte integrante di questo humus venefico. Erano tempi tristi anche per il modo stesso con cui si prospettavano soluzioni al problema della delinquenza minorile: il riformatorio era la norma, il carcere un’evenienza frequente. L’opinione più comune era che solo la sferza e la galera avrebbero ridotto a ragione i “monelli” più recalcitranti. A livello socio antropologico, per giunta, imperversava il pensiero secondo il quale criminali si nasce, non si diventa.

Ne era propugnatore Cesare Lombroso, psichiatra e criminologo, che per supportare le sue teorie misurava e classificava crani, imperfezioni e deformità fisiche cercando nei dati antropometrici e nelle espressioni torve di tanti sciagurati la sicura indicazione della loro predisposizione congenita al crimine, al furto e altre attività illecite. A Lombroso Garaventa contrapponeva tutt’altro pensiero: sono la famiglia e la società le vere responsabili della devianza giovanile. Il professore genovese indicava perciò nel distacco dal contesto ambientale degradato da cui provenivano il primo passo del percorso di recupero dei ragazzi difficili.

E proprio una nave, significativamente chiamata “Redenzione”, avrebbe potuto offrire un sufficiente isolamento dalle insane lusinghe della strada e, nello stesso tempo, rafforzare nei ragazzi il senso di appartenenza ad una comunità nella quale, oltre al rispetto delle regole della convivenza civile, dovevano primeggiare i valori della lealtà e della solidarietà. L’educazione marinaresca, inoltre, prospettava la possibilità, unitamente all’istruzione generale, di acquisire a bordo una specializzazione che avrebbe offerto opportunità di lavoro nello stesso porto di Genova o in altri bacini portuali della Penisola.

In quasi un secolo di vita e fino al settembre 1977 la Fondazione Garaventa, con le sue sette navi “Redenzione” e le attività svolte per la crescita civica e morale degli allievi, occupò un posto di rilievo nella realtà sociale e culturale di Genova. Tutto questo patrimonio di storia e di esperienze – con il vecchio Crotone in primo piano per ciò che più da vicino ci riguarda – sarebbe rimasto sconosciuto ai nostri concittadini se nei primi anni Duemila non avessi condotto una specifica ricerca presso l’Ufficio storico della Marina Militare a Roma e non avessi incontrato direttamente a Genova, venendo coinvolto anche in iniziative culturali, la professoressa Emilia Garaventa, pronipote di Nicolò Garaventa e socia fondatrice della Nuova Garaventa Onlus, e il cavalier Carlo Peirano, ex comandante della nave scuola “Crotone-Redenzione”.

Le loro testimonianze e il frutto della mia ricerca archivistica furono trasferite nel mio secondo libro “Crotone: due navi, una città”, presentato il 16 dicembre 2006 al Bastione Toledo col patrocinio del Comune di Crotone nell’ambito della Settimana delle biblioteche. Al tavolo dei relatori quel giorno era presente la professoressa Garaventa ed era presente anche l’allora capitano di corvetta Andrea Silenzi, ex comandante del moderno cacciamine Crotone.

E’ questa la seconda nave che porta il nome della città pitagorica e ad essa è dedicato parte del libro. La lezione di giovedì 18 aprile al Corso di storia e archeologia del Gak, diretto da Vincenzo Fabiani, tratterà anche di questa unità, che per la stesura dei relativi capitoli raggiunsi all’epoca nella base navale di La Spezia su autorizzazione dello Stato maggiore della Marina. Nome a parte, il legame del moderno cacciamine con la città di Pitagora è comunque particolare perché proprio nel porto nuovo, ormeggiata alla banchina di riva, l’unità militare ha ricevuto la bandiera di combattimento offerta dall’Anmi (Associazione nazionale marinai d’Italia) – Gruppo “Eugenio Amatruda”. Era il 18 maggio 1995.

Le immagini della cerimonia, unitamente a quelle relative al ritorno dell’unità a Crotone nel 2014 e 2019 saranno l’occasione per rivivere atmosfere passate e rivedere personaggi ormai entrati nella terza età o da tempo scomparsi. Molte altre immagini della presentazione porteranno indietro alle mie visite da “storico per passione” tra La Spezia e Genova. La neutralizzazione di residuati bellici è un’attività di primo piano per la sicurezza della pesca e del traffico marittimo che un cacciamine è in grado di svolgere. C’è anche un’altra faccia dell’impiego di queste unità. All’occorrenza si rendono utili per la localizzazione, l’identificazione e l’eventuale recupero di relitti di navi naufragate o di velivoli inabissatisi in mare.

L’aspetto più intrigante appare però il recupero di antichi reperti subacquei. Nel 1989 una convenzione tra il ministero della Difesa e il ministero dei Beni culturali e ambientali ha ufficialmente dato il via all’impiego di queste unità militari per l’esplorazione archeologica dei fondali. Un esempio dei risultati ottenuti l’ha fornito il progetto “Baratti 2001”, che ha portato a scandagliare il tratto di mare compreso tra il golfo di Baratti, nel comune di Piombino, e l’isola d’Elba. In quell’area, punto d’incontro di vitali rotte commerciali nel mondo antico, i veicoli filoguidati del Crotone hanno contribuito a scoprire nuovi siti archeologici con cumuli di anfore ellenistiche e romane.

Grazie alla “nostra” nave è stata indagata la rotta che vedeva navi provenienti dalla Grecia risalire il Tirreno trasportando vasi attici, i cui disegni raffinati sarebbero riapparsi sulle pareti delle tombe etrusche, vino e olio e ritornare in Grecia cariche di preziosi metalli, fra i quali il ferro proveniente dall’Elba. Un passato da non dimenticare. E non va dimenticato, inorgogliendoci, che il moderno Crotone è l’unica unità della Marina Militare a portare il nome di una città della Calabria“.
Giulio Grilletta

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