Il cardinale Giuseppe Guarino a Messina

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di Dario Caroniti – Uno dei temi caratterizzanti le ideologie del Risorgimento italiano consisteva nella convinzione che la Chiesa cattolica sarebbe stata radicalmente trasformata o sarebbe sparita per sempre, tanto che, una volta tolto al pontefice il potere temporale, sarebbe cessata in breve ogni sua autorità spirituale. Quando l’esercito regio sfonda la fortificazione di Porta Pia ed entra in Roma, siamo nel 1870, i cardinali riuniti lì per il Concilio Vaticano I tornano frettolosamente alle proprie diocesi. Tutto sembrò finito, ma al contrario, l’aperto conflitto tra Stato e Chiesa fu senz’altro funzionale a un rinnovamento del mondo cattolico italiano, avviando un periodo di ripresa delle vocazioni e, soprattutto, di enorme crescita delle iniziative sociali.

In quella Italia liberale che sembrava volere garantire solo la proprietà e i privilegi della borghesia, la Chiesa cattolica si smarcava dal sodalizio col potere temporale e tornava ad acquisire verso il popolo una credibilità che appariva perduta. Protagonisti di questa autentica rinascita furono diversi esponenti del clero cattolico, come san Giovanni Bosco, Francesco Faà di Bruno, san Luigi Orione, ma anche tantissimi preti e suore siciliani. Tra essi spicca la figura di Giuseppe Guarino, nato nel 1827 a Montedoro, in provincia di Caltanissetta, ordinato arcivescovo di Siracusa da Pio IX nel 1972, trasferito alla diocesi di Messina nel 1875, dove svolse il suo apostolato per 22 anni, fino alla sua morte, giunta nel 1897.

La realtà ecclesiale che lui ereditò da monsignor Luigi Natoli non era certo confortante. Il legame del suo predecessore con la corte borbonica aveva in certo qual modo legittimato le decisioni del nuovo governo nazionale volte a marginalizzare il più possibile la Chiesa. Un gran numero di preti e suore avevano in quegli anni abbandonato il sacerdozio, soprattutto a seguito dello scioglimento, da parte del nuovo Stato, di alcuni ordini religiosi e dell’eversione dell’asse ecclesiastico, quindi il sequestro e la vendita dei beni della Chiesa.

Anche il seminario, ormai quasi privo di vocazioni, languiva in uno stato pietoso. E fu proprio in questo seminario, semi abbandonato, che monsignor Guarino dovette alloggiare una volta giunto a Messina. La Chiesa cattolica non riconosceva più al governo nazionale l’exequatur, il diritto di approvare le nomine vescovili, diritto che invece il governo rivendicava, malgrado il tanto sventolato principio “libera Chiesa in libero Stato”. Per rivalsa, il prefetto non consentiva ai vescovi nominati dal Papa di accedere alla mensa arcivescovile. Motivo per cui Guarino dovette adattarsi.

Del resto, gli articoli che lui scriveva per il periodico cattolico “Il Presente”, quando era segretario dell’Apostolica legazia a Palermo, a metà degli anni Sessanta, gli avevano dato fama di zelante. Lui affermava che la Chiesa fosse una società perfettamente indipendente, ma che “la civile repubblica” (Guarino evitava finanche di utilizzare il termine Stato) fosse in “così stretto vincolo a lei unita e congiunta, che dell’una e del’altra risulti un sol corpo, che appellossi cristiana repubblica, cui presiedono il sacerdozio e il potere politico, ciascuno per le materie che gli son proprie”.

La sua era una concezione antitetica a quella liberale che si era affermata col Risorgimento, e le relazioni della polizia del tempo lo descrivono come persona onestissima e corretta, ma contraria al governo nazionale. A Messina, così come qualche anno prima a Siracusa, trovò quindi l’ostilità aperta delle istituzioni, anche di quelle locali. Non solo non gli fu data la possibilità di entrare nella sede arcivescovile, ma il sindaco del tempo cercò di espropriarla, per destinarla a sede giudiziaria, confinando l’arcivescovo nel locali della Chiesa di Sant’Andrea Avellino. Guarino capì subito che poteva puntare soltanto su un clero credibile e bel formato.

Per questo iniziò fin dall’insediamento un’azione pastorale che lo portò costantemente in giro per l’immensa diocesi, composta da 190 parrocchie, allora spesso difficili da raggiungere. La situazione che trovò fu però drammatica e spesso fu costretto a rimuovere i parroci per risolvere, in modo radicale, gli scandali di comportamenti certo non conformi alla loro ordinazione sacerdotale. Egli trovò però anche numerose disponibilità, che generarono a Messina una autentica fioritura delle vocazioni alla santità.

Negli anni dell’apostolato di monsignor Guarino, Messina conobbe l’azione di sant’Annibale Maria di Francia, della beata Maddalena Morano, ma anche di Francesco Di Francia, di suor Veronica Briguglio e di suor Majone (dei quali è in corso il processo di beatificazione) ai quali si aggiunge il canonico Francesco Vitale, figura spirituale di eccezionale importanza. Quella fu, secondo lo storico Angelo Sindoni, “una stagione per certi versi unica della storia della Chiesa messinese”, anche perché tutte queste figure, compreso il Guarino, furono anche fondatori di nuove congregazioni religiose maschili e femminili che occuparono lo spazio vuoto lasciato dallo scioglimento degli ordini ecclesiastici che prima dell’unità di Italia si occupavano dell’assistenza dei poveri, degli orfani e della formazione dei fanciulli, persone svantaggiate che, secondo le ideologie dominanti, avrebbero dovuto trovare risposte nelle direttive politiche del governo nazionale, che avrebbe voluto sostituirsi alla Chiesa anche nella carità pubblica, ma che certamente fallì completamente in questo compito.

Lo stesso Francesco Crispi, che si era fatto campione di questa autentica intolleranza verso il mondo cattolico, ed era per questo motivo stato oggetto dell’ostilità dei vescovi siciliani, compreso Guarino, fu costretto nell’ultima parte della sua vita, quando negli anni Novanta era tornato al governo del paese, a riconoscere il compito sociale della Chiesa, lui che lo aveva apertamente e ripetutamente negato, anche con provvedimenti repressivi. Davanti al pericolo della rivoluzione socialista e del movimento dei fasci siciliani, Crispi sperò di trovare la solidarietà e l’appoggio della Chiesa cattolica.

Diversi vescovi furono pronti a sostenerlo e credettero fosse possibile superare definitivamente il non expedit, ma Leone XIII raffreddò ogni entusiasmo, rifiutando di fare della Chiesa cattolica il complice della repressione. In quegli anni Guarino, che era stato nominato cardinale nel Concistoro del 16 gennaio 1893, ottenne maggiori favori dal governo, che già gli aveva riconosciuto una medaglia d’argento per l’attività sociale da lui svolta durante l’epidemia di colera del 1887.

Quando tuti scappavano per evitare il contagio, compresi i suoi ausiliari, forte della sua fede egli  non temeva il contagio o, meglio, subordinava la paura al dovere di buon cristiano, all’amore per il suo gregge, testimoniando la fede. Questo eccezionale attivismo gli fu però fatale. Nel 1895 Guarino fu colpito da un ictus, rimase semiparalizzato. Sembrò riprendersi ma dopo due anni morì. A distanza di quasi un secolo si è aperto il processo di canonizzazione, che è ormai concluso. Si attende ormai imminente la proclamazione della sua beatificazione. La città di Messina ha deciso di ricordarlo in convegno di studi che si è  svolta nella nostra università. Un convegno scientifico per incentivare gli studi su un uomo che ha fatto la storia della Sicilia.

Giuseppe Guarino

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