Ve li racconto io i papà da festeggiare

Dopo tutte le polemiche sterili sulla Festa del Papà mi è bastato un incontro sugli autobus, questa mattina, per capire dove sta la verità e dove finiscono le polemiche

StrettoWeb

La Festa del Papà ormai passata da due giorni è stata una della più discusse, delle più polemiche e delle più tristi. Tristi non tanto per la ricorrenza in sé, ma per il modo in cui i soliti haters di stampo moderno abbiano provato a delegittimare una ricorrenza tanto cara al cuore degli italiani. Eppure festeggiare i papà, soprattutto oggi, diventa necessario come non mai.

Questa mattina, recandomi in redazione, ho avuto conferma di ciò che da tre giorni penso e sostengo: chi vorrebbe abolire la festa del papà dovrebbe prima guardare negli occhi alcuni papà, tanti papà, che sacrificano ogni giorno sé stessi e la propria vita per i loro figli.

Ero su un autobus di linea a Reggio Calabria quando ho visto un uomo dagli occhi buoni, vestito con abiti da lavoro, forse un muratore – ho subito pensato – con le mani consumate dalla fatica. Con la dignità negli occhi di chi vive per lavorare e lavora per vivere. Avrà avuto all’incirca la mia età, poco più che quarantenne. Vicino a lui una ragazza, adolescente, dagli occhi belli, con le cuffie nelle orecchie. Inizialmente non avevo capito che fossero insieme. L’uomo ha salutato un conoscente appena salito sull’autobus. Si sono confrontati su questioni di lavoro. Entrambi muratori, come hanno confermato loro stessi parlando. Hanno discusso di mancati pagamenti, di ricerca di nuove prospettive, di difficoltà ad arrivare a fine mese nonostante le fatiche giornaliere.

Poi, l’amico ha assunto un tono diverso, più fraterno, e gli ha chiesto: “E a casa come va?”. Lui si è rabbuiato, per un solo piccolo istante, quasi impercettibile. Ma poi ha ripreso quel suo sguardo dignitoso e ha risposto: “Tutto bene. Vado avanti. Abito ad Archi con le mie figlie. Me le hanno affidate perché hanno capito che con me non mancherà loro nulla. Meglio solo, con loro due, che quella situazione precedente che tu ben sai. Avevamo i servizi sociali in casa ogni due giorni. Ho vissuto un inferno, ma ora sono sereno io e sono serene loro”.

Non so, ovviamente, a cosa si riferissero, ma ho immaginato. Ho immaginato un padre messo alle strette, ho immaginato una famiglia distrutta e ho immaginato una parte di quella famiglia che si rialza, si lecca ferite, si ricompone con i pezzi mancanti e va avanti. Perché farsi carico della famiglia ridotta in brandelli non è solo ‘una cosa da mamma’, come si pensa. E’ una cosa da genitori responsabili, a prescindere dal genere.

Poi ho capito che quel padre, quell’uomo, aveva accanto la figlia. La ragazza si era tolta le cuffie dalle orecchie e lo aveva ascoltato parlare. Poi lo aveva guardato negli occhi con una dolcezza infinita e gli aveva accennato un sorriso. Sono certa che quel papà le polemiche sterili dei giorni scorsi non le avrà nemmeno viste. Ma se le avesse lette o ascoltate sarebbe bastato quel sorriso riconoscente della figlia per cancellare ogni dubbio: le polemiche restano polemiche. E i Papà con la p maiuscola restano Papà da celebrare ogni santo giorno.

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