Processo Dell’Utri: Ragionevole dubbio o semplice convincimento?

StrettoWeb

Di seguito la riflessione di Giovanni Alvaro:

E’ semplicemente sconcertante quanto sta avvenendo nel pianeta ‘giustizia’ che sta frastornando il grande pubblico, dato che a capovolgere le vecchie verità sono gli stessi che strillavano, a più non posso, quando a criticare le scelte di un Tribunale erano i condannati a priori, quelli che erano finiti nel tritacarne costretti a bere la cicuta costi quel che costi. Il refrain più recitato, in quelle occasioni, era che “le sentenze non si criticano” ma, anche se indigeste, bisognava ‘rispettate’.
A sostegno del refrain si aggiungeva che ad emettere la sentenza non era un rappresentante dell’accusa ma un giudice terzo, sottolineando che la terziarità era, di per sé, garanzia in quanto gestita da chi non aveva ‘l’interesse’ che il  ruolo dell’accusa riveste. Criticare quindi la sentenza diventava una bestemmia, e come tale andava trattata, anche perché c’era il rischio che si potessero aprire scenari sui condizionamenti, oggettivi, che la terziarità subiva da quei mostri sacri che erano, e ancora sono, i PM, facendo viaggiare su una autostrada la richiesta di separazione delle carriere.

Sacralità delle sentenze e rispetto delle stesse hanno trovato, anche, megafoni adatti nelle grandi testate giornalistiche che sono state il sostegno più potente allo strapotere dei rappresentanti dell’accusa, ed all’uso politico dello strumento giudiziario con relativa gogna mediatica che è quella che ha fatto più vittime perché ha tenuto sulla graticola per anni e anni centinaia di malcapitati (come Andreotti e Rino Formica per citarne alcuni), e mandando altri, con la sacralità di sentenze da non discutere, nella patrie galere, come il grande servitore dello Stato, Bruno Contrada.

Oggi è andato in tilt questo percorso non tanto perché la Cassazione ha cassato la sentenza, quanto per le argomentazioni usate dal Sostituto PG, Francesco Iacoviello, sul ‘fumoso’ reato di ‘concorso esterno in associazione mafiosa’ e sulla condanna inflitta a Dell’Utri malgrado ‘le gravi lacune giuridiche’ contenute nella sentenza per la mancanza di motivazione e la mancanza di  specificazione della condotta contestata al senatore Dell’Utri. In parole semplici Iacoviello ha stigmatizzato l’assenza di reati specifici, e ha massacrato il trattamento ‘ad personam’ riservato all’imputato.

“Nessun imputato – ha aggiunto, infatti, Iacoviello – deve avere più diritti degli altri ma nessun imputato deve avere meno diritti degli altri: e nel caso di Dell’Utri non è stato rispettato nemmeno il principio del ragionevole dubbio” che è stato spodestato, come ricorda Piero Sansonetti, dal ‘ragionevole sospetto’. Il corto circuito prodotto dalla sentenza ha messo, comunque, a nudo la barbara concezione che hanno del processo penale alcuni PM e molti giornalisti, soprattutto quando si tratta di imputati che vengono considerati ‘nemici’ e, quindi, colpevoli a priori.

Ed è sempre Sansonetti a citare, tra le tante, una frase di un novello Vichinsky di provincia, in un pezzo per una corazzata mediatica italiana, che fa accapponare la pelle a qualsiasi uomo libero di una società civile, e gli fa benedire il cielo per un’Italia che, nella spartizione di Yalta, è caduta sotto l’influenza americana: ‘Non abbiamo mai avuto prove delle rivelazioni bislacche di Massimo Ciancimino, sul ruolo di Dell’Utri…. ma nessuno ha mai avuto dubbi sulla vicinanza tra il senatore e quella gente là…’. Prove? Ma quali prove? Basta un semplice sospetto, anzi addirittura un semplice convincimento. Civiltà giuridica, stato di diritto? Sono orpelli da buttare alle ortiche.

L’Italia non ha solo bisogno di uscire dal guado economico, ma ha anche bisogno di ripristinare la certezza delle regole per avere una giustizia giusta perché l’Italia non può ripiombare nel clima da ‘Colonna infame’ egregiamente descritto da Alessandro Manzoni. Vi è un interesse, senza colore, acché venga ripristinata questa civiltà. Bisogna, però, convincersi che l’uso politico del sistema giustizia non serve a ‘vie italiane al potere’, ma serve solo ad allevare generazioni di Magistrati che sfuggono a qualsiasi rispetto della divisione dei poteri.

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