La propaganda di Hamas e le domande che mai nessun giornalista farà ai palestinesi

In Occidente si continua a prendere per buona l'informazione che arriva dalla Striscia di Gaza, quella filtrata da Hamas: eppure, proprio attraverso alcune semplici domande, quegli stessi giornalisti potrebbero dare una svolta decisiva alla guerra

La propaganda è da sempre uno strumento potente in mano a chi governa uno Stato, soprattutto per chi lo fa con il pugno di ferro e principi che non hanno nulla a che vedere con la democrazia. Lo insegna la storia. Gli italiani festeggiavano Mussolini in piazza, orgogliosi dell’entrata in guerra al fianco della Germania nazista. I tedeschi stessi adoravano Hitler e le parate militari, i discorsi alla nazione sulla necessità del genocidio ebraico. I giapponesi scelsero la guerra suicida dei kamikaze alla resa.

E la gente ci casca, annuisce, si autoconvince che sia giusto così. È così da sempre e oggi siamo arrivati al punto che un’organizzazione terroristica possa avere voce in capitolo veicolando fake news, alterando la realtà secondo i propri scopi, controllando l’informazione a proprio piacimento e trova terreno fertile tra chi sposa proteste con fini politici, chi ne trae profitto o visibilità, chi semplicemente ignora. E la gente ci casca, anche quella dell’Occidente, continua a cascarci.

Le domande che nessun giornalista farà mai ai palestinesi

La questione è semplice, si tratta di logica e di italiano, per cui moralità e altri concetti di cui ci si riempie la bocca seduti comodamente dal proprio divano di casa, vanno messi da parte. I proPal prendono per buono tutto ciò che arriva da Gaza, minimizzando il ruolo di Hamas, a volte ignorandolo del tutto.

Dunque, se l’informazione che arriva da Gaza fosse libera, autorevole e senza alcun condizionamento di sorta, basterebbe che i suddetti giornalisti liberi, lasciassero per un attimo da parte le storie strappalacrime dei morti per fame, di quelli uccisi nei bombardamenti (vere e reali, vittime innocenti e collaterali della guerra, come accade in ogni conflitto) interrogassero l’altrettanto libera popolazione con delle semplici domande su Hamas.

Sarebbe interessante sapere, fa notare “Libero”, cosa ne pensano i gazawi dell’organizzazione terroristica che ha ucciso 1200 persone il 7 ottobre in Israele; cosa ne pensa la gente di Gaza del fatto che ci siano ancora alcuni dei 250 ostaggi israeliani, rapiti con la forza, nelle mani di Hamas; cosa hanno pensato quando c’è stato lo squallido scambio di prigionieri fra donne e bambini israeliani indifesi e centinaia di criminali palestinesi detenuti per terrorismo; cosa ne pensano degli attentati terroristici, l’ultimo avvenuto nella mattinata odierna a Gerusalemme e rivendicato con orgoglio; cosa direbbero le madri palestinesi alle madri israeliane che si sono viste stuprare e uccidere una figlia dai miliziani mentre era a una festa; come hanno fatto a non vedere le basi di Hamas nelle scuole, negli ospedali e nei tunnel costruiti con i soldi versati dal mondo da decenni per lo sviluppo e utilizzati invece pure per acquistare armi.

I palestinesi sono pro o contro Hamas? La possibile svolta nella guerra

È inutile girarci intorno. Se siamo tutti d’accordo che la pace sia il fine ultimo da perseguire, che vadano abbassate le armi, salvate donne e bambini, bisogna intervenire alla radice eliminando Hamas e restituendo gli ostaggi a Israele. A quel punto, Israele non avrebbe più motivo di continuare la sua operazione militare senza andare incontro a una condanna internazionale su più fronti, senza alibi. Israele dovrebbe fermarsi.

Ma queste domande e questa verità (qualunque parte i palestinesi prendano) non verranno mai fuori. Oggi i proPal credono a una propaganda che ha la pretesa di di raccontare una guerra etica, un binomio contraddittorio. I civili sono da sempre un fronte di guerra, loro malgrado, in ogni conflitto, e mai potrà essere condivisibile il sacrificio di persone innocenti. Ma un regime si fonda sul consenso della propria gente. E quella stessa gente diventa responsabile della scelta di chi li comanda, che esso sia stato eletto o si sia imposto con la forza, nel bene e molto spesso nel male.

In Israele, uno Stato democratico che viene raccontato come governato da un dittatore (Netanyahu è stato eletto per due volte con elezioni regolari, la prima non è riuscito a formare un governo e, senza ‘inciuci’, ha preferito tornare alle urne ed è stato rieletto, oggi sulla questione Palestina è anche spalleggiato dall’opposizione, come se la Schlein si alleasse con la Meloni!), la gente libera protesta, senza alcuna repressione di sorta, contro il governo perchè non riesce a liberare con la forza, né con la diplomazia, gli ostaggi. Quella che sembra una debolezza, è in realtà la forza della libertà. Se i palestinesi sono liberi, prendano una posizione: una voce che può trasformare propaganda in verità e decidere le sorti di Gaza.