Anche il ‘postino’ conosceva l’identità di Matteo Messina Denaro

Gli investigatori stanno premendo il piede sull'acceleratore per capire chi, e a che titolo, abbia protetto Matteo Messina Denaro per trent'anni

Si fanno sempre più serrate le indagini degli investigatori per fare luce sulla rete di protezione che per trent’anni anni ha permesso a Matteo Messina Denaro di nascondersi sotto gli occhi di tutti. “Non v’è dubbio che le condotte realizzate da Bonafede abbiano di fatto consentito a Messina Denaro di sottrarsi sia all’esecuzione delle pene definitivamente irrogategli per numerosi efferati delitti, sia a eludere le investigazioni dell’autorità in ordine alla persistente condotta direttiva organizzativa dell’associazione mafiosa Cosa nostra, operante nella provincia di Trapani, posta in essere dallo stesso Messina Denaro“.

E’ quanto scrive il tribunale del Riesame di Palermo. Oggi i giudici hanno depositato le motivazioni del provvedimento col quale è stata respinta la richiesta di scarcerazione presentata da Andrea Bonafede. Quest’ultimo è accusato di aver fatto avere al capomafia, malato di cancro, ricette e prescrizioni fatte dal medico Alfonso Tumbarello. Tutto era intestato falsamente al cugino geometra. Bonafede è accusato di favoreggiamento e procurata inosservanza della pena.

Non solo. Il “postino” del boss, spiegano i giudici “ha in concreto consentito al latitante di ridurre la sua esposizione e il conseguente rischio di essere individuato e arrestato che sarebbero derivati dall’eventuale accesso di quest’ultimo allo studio medico“. Il collegio sottolinea inoltre le “dichiarazioni contraddittorie rese dall’indagato in sede di interrogatorio, peraltro smentite dai successivi atti d’indagine indicati“. I magistrati spiegano poi che “gli elementi indiziari raccolti hanno consentito di accertare come l’indagato, stante la piena conoscenza dell’identità di Messina Denaro“, abbia agito con “la consapevolezza che l’azione illecita che stava compiendo, consentendo al capo della consorteria di svolgere appieno il proprio ruolo di vertice, potesse quanto meno inscriversi nelle possibili utilità dell’associazione mafiosa“.