“Pnrr nato per il Sud, ma il Meridione sarà tradito?”: Siviero e Mollica realizzano una raccolta di saggi, le proposte e il focus sul Ponte sullo Stretto tramite testimonianze autorevoli

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Gli esperti pongono l’attenzione sull’importanza dei fondi del Recovery Fund, con cui l’Europa ha indicato un preciso ruolo delle Regioni del Sud Italia nel panorama euromediterraneo. Un’occasione che il Mezzogiorno non può lasciarsi sfuggire

Si intitola “Pnrr nato per il Sud: ma il Meridione sarà tradito?”. E’ questo il titolo del libro realizzato da Enzo Siviero e Giovanni Mollica per proporre idee e interventi a favore del Mezzogiorno, ricordando che con le Reti TN-T e i fondi del Recovery Fund l’Europa ha indicato un preciso ruolo delle Regioni del Sud Italia nel panorama euromediterraneo. “I governi italiani sembrano non ascoltare”, è per questo che i due esperti hanno realizzato, in collaborazione con il Rotary Club Stretto di Messina, una raccolta di saggi per lanciare proposte interessanti. Tra le varie testimonianze, sono presenti sul testo quelle di molte figure autorevoli (politici, tecnici, giornalisti) tra cui: Nello Musumeci, Roberto Occhiuto, Cateno De Luca e tanti altri illustri personaggi.

Da Nord a Sud, oltre il Mediterraneo

di Enzo Siviero e Giovanni Mollica – Il tema del rapporto Nord-Sud non riguarda la sola Italia. Si tratta di un atteggiamento culturale (o meglio in-culturale…) che attraversa le genti e i luoghi, perdendosi nella notte dei tempi. In tutti i Paesi medio-grandi esiste una parte più avanzata ed una meno, con la singolare caratteristica che, nell’emisfero australe, l’orientamento geografico spesso s’inverte, confermando la condizione di minorità economica alla parte più vicina all’Equatore. Il caso Italia, però, merita una particolare attenzione sia alla luce delle peculiarità della storia del nostro Paese che per l’appartenenza a quel fenomeno epocale rappresentato dal processo di unificazione europea. Con la Globalizzazione che ha fatto da catalizzatore all’intuizione politica – ma anche sociale ed economica – che l’ha originato.

Indipendentemente dalle grandi teorie che individuano i fattori che danno il via a tali eventi, è innegabile che sia stata proprio la globalizzazione a evidenziare e ad accelerare il processo in corso, trasformando il tema delle diseguaglianze regionali – pur grave e dirompente – in problema comune all’intero Vecchio Continente. Bisogna, infatti, dare atto all’Europa di avere individuato nella nostra – fino a poco tempo fa, quasi “privata” – Questione meridionale un grave freno all’evoluzione positiva dell’unificazione continentale. La soluzione proposta è stata un mix di idealità e pragmatismo, fondendo la tradizionale Politica di Coesione con il Next Generation Plan EU e il Recovery Fund. Il fiume di denaro che l’Europa ha stanziato per il nostro Paese ci costringe ad abbandonare le usuali polemiche sulle colpe per passare al come evitare di perdere un’occasione storica.

Questa raccolta di mini saggi vuole essere un percorso che, partendo dall’analisi realistica dell’attuale insostenibile situazione del Mezzogiorno italiano, si avvale di una piccola parte dello straordinario patrimonio intellettuale del nostro meraviglioso Paese per fornire spunti di riflessione ma, soprattutto, per indicare soluzioni concrete e realmente praticabili. Ciò non vuol dire affatto sorvolare, ancora una volta, su quel “gioco delle tre carte” – che, vogliamo sperare, sia frutto più di necessità che di vera e propria volontà vessatoria – che mostra come nel Pnrr, tra i progetti a favore del Sud, siano stati inseriti molti interventi già in itinere – quindi già finanziati con altri capitoli di spesa e, conseguentemente, definanziati -, cancellando di fatto risorse già allocate. Non vogliamo pensar male, ma qualche dubbio sembra lecito… Vedremo prossimamente se queste scelte – che, parafrasando Talleyrand, sono più un errore che un’ingiustizia – saranno corrette.

Con tali premesse, la presente raccolta propone una soluzione molto chiara: l’Europa non deve guardare solo a est e a ovest, ma anche a sud. Ed è interesse del nostro Paese focalizzare e dare concretezza a questo obiettivo. Con lungimiranza e pragmatismo, ma anche con quella concretezza che è indispensabile per la creazione delle condizioni che consentiranno, domani e dopodomani, di far cogliere alle future generazioni i frutti delle iniziative odierne. Dando prospettive concrete ai nostri giovani, affinché costruiscano un futuro che ha radici saldamente piantate nei luoghi d’origine.

Se è vero, come nessuno può negare, che l’Italia è il molo naturale verso il Mediterraneo, una visione strategica che interessa l’oggi – e già siamo notevolmente in ritardo – ma soprattutto le prossime generazioni, la Politica nazionale – e la maiuscola non è casuale – deve essere prontamente riorientata. L’Italia deve guardare a sud attraverso il suo Sud. Con occhio non miope, superando squallidi egoismi locali che portano tutti, ma proprio tutti, verso un più o meno rapido declino. Come gli ultimi decenni hanno ampiamente dimostrato. Dobbiamo guardare al Mediterraneo, o meglio oltre il Mediterraneo.

Per chi è in grado di vederle, le ragioni sociali, economiche e culturali ci sono tutte e sono dettate dalla Storia e dalla Geografia ed è ovvio che, da questo come da molti altri punti di vista, in tale prospettiva geopolitica è l’Italia a giocare il ruolo principale: quello di avanguardia del Vecchio Continente. Utilizzando quel “ponte liquido” che è il Mediterraneo, come è stato nel passato più o meno recente e com’è oggi ancor più pregnante e drammatico. Non a caso Turchia (e lo stesso Egitto..), unitamente a Russia e Cina, spadroneggiano e aprono basi militari ed economiche nel Mare (non più) Nostrum, approfittando di un continente europeo intrinsecamente debole, incapace di una politica unitaria, visti gli interessi contrastanti di taluni, non pochi, suoi membri. Lasciando a Italia e Spagna compiti umanitari mai sufficientemente assolti.

Il Sud è indiscutibilmente il vero trampolino di lancio verso l’Africa, così come l’Africa si proietterà verso l’Europa tramite il Mezzogiorno. In tale prospettiva geostrategica gli investimenti al Sud sono vieppiù necessari. Certamente per lo stesso Sud ma anche e soprattutto per il Nord Italia e per l’Europa stessa, che avrebbe tutto da guadagnare nel rinvigorire una vocazione oggi resa pericolosamente fragile proprio dalla globalizzazione.

Ciò non vuol dire affatto rinnegare le aperture verso l’Est e la più recente politica estera dell’Unione, bensì proporsi come raccordo tra tre Mondi. Proprio quello che è stato e sta tornando a essere, sotto i nostri occhi miopi, il Mediterraneo. Altri Paesi, più lungimiranti e ambiziosi, lo stanno facendo da tempo. In nome della Nuova Via della Seta (Belt and Road Initiative) la Cina approda al Pireo, con la prospettiva di raggiungere – tramite i Balcani e nuove infrastrutture ferroviarie ormai in avanzata esecuzione – il centro d’Europa. Lo stesso fanno la Turchia a est.

La stessa Spagna, a ovest, si propone, silenziosamente ma concretamente (Ferrmed), quale interfaccia privilegiato con l’Africa occidentale. Scavalcando lo Stretto di Gibilterra, venti volte più largo e tre volte più profondo dello Stretto di Messina. Così l’Italia (non solo il Sud) resterà esclusa dai grandi flussi di traffico intercontinentali. Altro che Marco Polo o Matteo Ricci! Immaginando anche collegamenti stabili Tunisia Sicilia (TUNeIT) e Puglia Albania GRALBeIT) che da oltre un decennio vengono proposti da chi scrive senza alcun riscontro, nel nome di quell’ingegneria visionaria (ma non troppo…) che ha fatto la storia del progresso.

In questa visione di Sud e Italia cerniere tra Mondi, il Ponte sullo Stretto di Messina è un piccolo ma fondamentale tassello all’interno di un disegno più complesso, una bandiera ricca di grandi significati, indiscutibilmente praticabile. Guardare a sud attraverso il nostro Sud è un progetto i cui primi, decisivi, passi sono, in fondo, molto semplici. Anche perché è l’Europa che ce li ha chiesti, fornendoci le risorse per attuarli. Indispensabili per rilanciare quella coesione impossibile senza la mobilità, lasciapassare verso uno sviluppo da troppo tempo obiettivo fallito di un Paese incapace di sognare. Diciamolo francamente e senza vergognarcene: questa raccolta è un atto d’amore e di fiducia verso il Sud, verso l’Italia e verso l’Europa.

Il ruolo del Sud nel panorama mediterraneo

di Giovanni Mollica ed Enzo Siviero – Povero di materie prime e di grandi industrie; con un livello di istruzione e un Pil pro capite inferiori alla media Ue; un agroalimentare raramente in attivo e frenato da norme comunitarie penalizzanti; una Ricerca & Sviluppo cronicamente priva di investimenti; una tassazione che potrà (forse) scendere di qualche punto ma non sarà mai competitiva con i paradisi fiscali e, infine, con un debito pubblico mostruoso che impedisce di effettuare gli investimenti necessari, l’Italia è un Paese che si aggrappa al turismo e alla manifattura lombardo-veneto-emiliana per non affogare economicamente. Ma l’obiettivo di qualsiasi governo responsabile non può essere sopravvivere, bensì tentare di ridurre il debito e attuare quelle riforme strutturali che, in un drammatico circolo vizioso, impediscono una crescita che si autoalimenta. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), provvidenzialmente concepito dall’Ue, serve a questo. A patto che non si interpreti come l’ennesimo strumento necessario per nascondere la polvere dell’inefficienza sotto il tappeto. La Commissione europea è stata chiara: o si entra nell’ottica di un Piano per le prossime generazioni (Next Generation Plan EU) oppure niente aiuti.

Diviene così inevitabile capire in quali settori economici un Paese così può creare quel valore aggiunto che gli consenta di crescere realmente, invece di continuare a perdere terreno, a Nord come a Sud. In altre parole, quale sia il ruolo che può occupare nel panorama euromediterraneo senza porsi in competizione con altri più forti e capaci. Che finirebbero per stritolarlo. Per strano che possa sembrare, la Globalizzazione, ampliando e rendendo organica al prezzo finale di un bene la quota di valore aggiunto determinata dal trasporto e dalla distribuzione, ha offerto una straordinaria opportunità. Grazie a essa, si può pensare di captare quella, affatto trascurabile, quota di ricchezza che si crea durante il percorso tra il luogo di produzione e l’utente finale. Lungo quella supply chain – oggi significativamente intesa come ultimo anello della catena del valore. Una ricchezza che, a differenza di altri geograficamente meno favoriti, non siamo stati ancora capaci di cogliere. Eppure, sarebbero bastati un po’ di lungimiranza, di sano buon senso e di onestà intellettuale per capire che un Paese con 8 mila km di coste, saldamente collocato da Madre Natura nel cuore del Mediterraneo, ancorato all’Europa ma a soli 140km dall’Africa, equidistante da Gibilterra e dal Mar Nero doveva proporsi come collettore dei flussi di merci che attraversano il piccolo ma ancora importantissimo, Mediterraneo. Crocevia di una quota importante degli scambi tra tre continenti, uno vecchio e ricco e due più poveri ma in impetuosa crescita. Ma questo è solo un aspetto del “problema Italia”, ritenuta, fino all’arrivo di Draghi, il malato d’Europa proprio per quelle patologie che il Pnrr dovrebbe guarire. Per non fallire ancora una volta, però, è indispensabile che la politica nazionale e locale allarghino i propri orizzonti, geografici e temporali; oltre il limite della convenienza personale e di partito. In altre parole, che la politica diventi Politica. Al livello più alto, Draghi compirà questo miracolo? Lo speriamo, ma il suo impegno personale e quello del suo team – fondamentale la scelta dei componenti e alcune scelte non sembrano felici – non bastano. Una nazione è un sistema enormemente
complesso e basta che una parte non funzioni come dovrebbe per rallentare o vanificare un processo che richiede scelte rapide, uniformità di vedute e pugno di ferro in guanto di velluto.

C’è un aspetto gestionale-amministrativo che penalizza il sistema-Italia, un limite culturale che rischia di rivelarsi insuperabile per l’ottimale attuazione del Pnrr: occupata nella ricerca di iniziative mirate ad accrescere il consenso immediato, la politica locale sembra non voler capire che i territori, grandi o piccoli che siano, vanno considerati in un insieme più vasto, che supera i confini giuridici, anche quelli nazionali. Le sorti di un comune, di una regione e di una stessa nazione non dipendono solo da ciò che accade entro i loro confini, ma anche dall’evoluzione della situazione esterna. Vale per Draghi e anche per il sindaco del più piccolo Comune. Ancora una volta, purtroppo, i Piani strategici predisposti dagli enti interessati – in particolare nel Meridione – si rivelano più mirati all’ottenimento di benefici immediati che a una crescita duratura e sostenibile. Meglio un uovo oggi, solo per me, che un pollaio domani, se è da condividere con altri. Un principio rovinoso, che contamina gli enti di ogni dimensione e può essere corretto solo con una gestione più accentrata – per quanto democratica – quantomeno nel rispetto degli indirizzi generali e nella facoltà di adozione dei poteri sostitutivi. Con un punto di partenza, anche ideale, indifferibile: l’abbandono della strategia a trazione settentrionale, rivelatasi fallimentare negli ultimi decenni.

Entrando con decisione nel tema che ha ispirato questa raccolta di scritti, non si vedono ancora segnali chiari in tale direzione, ma sono notevolmente cresciute le voci autorevoli che chiedono un cambiamento di prospettiva. Se il Pnrr deve veramente aprire la strada al Next Generation Plan EU, non può essere più prolungato il modello di sviluppo basato sul sostegno pubblico – pressoché esclusivo – alle élite economiche e finanziarie, nella speranza che le loro performance “gocciolino” anche verso la classe media e ai meno abbienti. Col risultato di affogare tutti, chi più lentamente e chi più rapidamente, ma certo tutti. Come ha dichiarato pubblicamente il Presidente Biden: “Trickle down Economics never work”: l’economia del gocciolamento non ha mai funzionato. Se si volessero avere ulteriori dimostrazioni, basterebbe scomodarsi a consultare Eurostat e verificare come tutte le Regioni italiane – con la significativa eccezione dell’Alto Adige – da molti anni, perdono progressivamente posizioni nella graduatoria europea. Oggi sono, per la maggior parte, sotto la media. Come si fa a non capire che si percorre una strada sbagliata e iniqua?

La Globalizzazione è una bestia selvaggia che rivoluziona le vecchie regole, creando nuovi equilibri e nuove ingiustizie. Ma si può tentare di governarla. Su grande scala – la Belt and Road Initiative e Razvitie, depurate dai propositi di egemonia, ne sono un esempio – come su dimensioni minori. Oltre un secolo fa, Giustino Fortunato e Francesco De Sanctis predicavano, inascoltati, che non c’è sviluppo senza coesione, non c’è coesione senza mobilità e non c’è mobilità senza infrastrutture. Un concetto che si ritrova nei vecchi allegati Infrastrutture al Def, dove si afferma che un grande asse trasportistico, se ben realizzato, irradia sviluppo nei territori attraversati. Una regola che vale, allora come ora; per la Siberia come per il nostro Mezzogiorno. Se si vuole uscire dalla spirale perversa che ci imprigiona, potenziare le nostre principali risorse, ridare dignità a un Meridione umiliato e sempre più arretrato, trasformandolo da vagone da trainare faticosamente in una seconda locomotiva, trovare un ruolo peculiare in Europa e nel Mediterraneo, la Storia e la Geografia impongono all’ex Bel Paese di guardare a Sud attraverso il suo Sud.

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