Messina, arriva il marchio “Covid free zone”: l’ennesimo strumento discriminatorio presentato come fosse un successo

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Mentre in diversi Stati si è già proceduto con le riaperture totali e l’addio a tutte le restrizioni senza alcun utilizzo di Green Pass, a Messina si è arrivati addirittura ad introdurre il marchio “Covid free zone” per far distinguere le aziende in cui lavorano dipendenti tutti vaccinati

Dai Carabinieri che inseguono i runners in spiagge deserte, fino all’utilizzo dei droni che controllano la temperatura dei passanti. Ne abbiamo viste di tutti i colori noi italiani in questo anno e mezzo di pandemia, ma l’ultima iniziativa lanciata in questi giorni a Messina è riuscita sicuramente a superarle tutte. L’Ufficio commissariale per l’emergenza epidemiologica, guidato dal Dott. Alberto Firenze, ha promosso la nascita del cosiddetto marchio “Covid free zone”, ovvero una sorta di riconoscimento che le aziende operanti in diversi settori (Turismo, Ristorazione, Ospitalità, Trasporti e altri servizi) possono ricevere nel momento in cui sono in grado di dimostrare che tutti i dipendenti sono vaccinati“Offriamo da oggi la possibilità di ottenere questo marchio rispettando alcuni stringenti parametri (vaccini, tamponi, rispetto di norme igieniche, ecc…) potendolo esibire nei luoghi pubblici o privati con orgoglio e consapevolezza di fare una cosa giusta per sé e per la comunità”, ha spiegato il Commissario nell’odierna conferenza stampa organizzata con la partecipazione della Camera di Commercio messinese.

A seguito dell’accordo siglato per l’attribuzione del Marchio Covid Free, sono arrivate però le prime reazioni contrarie. In testa ai dissidenti c’è il gruppo di organizzatori del Nopauraday Messina e l’avvocato Cetty Di Bella hanno effettuato segnalazione al Garante della Privacy evidenziando “come questa iniziativa introduca una verifica dello stato vaccinale difforme da quelli individuati a livello nazionale, ponendosi in violazione dei principi base del regolamento della UE in materia di protezione dei dati personali”. Nonostante le assicurazioni della struttura commissariale che “per il rispetto della normativa sulla privacy, non verrà fornita alcuna indicazione sullo stato vaccinale del singolo dipendente, ma sarà unicamente fornita informazione riguardo l’acquisizione del marchio”, il gruppo di oppositori al Green Pass esprime forti diversi dubbi. “Appare evidente – scrivono in una nota – come questa sia una petizione di principio in quanto la struttura commissariale effettuerà una verifica dello stato vaccinale di ogni singolo dipendente. A seguito della verifica, l’azienda verrà informata, per il tramite del referente, del rilascio del marchio o del diniego, senza ulteriori indicazioni riguardo lo stato di vaccinazione del singolo dipendente ma appare evidente che anche il mancato possesso del requisito in capo ad un singolo dipendente sarà impedimento al riconoscimento della cd certificazione, non a caso definita “marchio” e fonte di discriminazione del dipendente, facilmente individuabile, anche grazie alla cultura della delazione largamente fomentata dagli organi di stampa”.

Il gruppo, dunque, mette in evidenza l’effetto discriminatorio che produce tale “riconoscimento”, un peso addossato sulle spalle dei dipendenti che per libera scelta hanno deciso di non vaccinarsi. Il marchio “Covid free zone” è un passo ancora più in avanti rispetto al Green Pass, che di per sé ufficializza una pericolosa spaccatura sociale, capace di generare sospetto, paura, rancore tra le persone, che piuttosto dovrebbero essere tra loro solidali e unite in un momento di grande stress e disagio psicologico per abitudini via via sempre più dimenticate. Da un lato infatti sono schierati i possessori di Green Pass, a cui vengono garantiti “privilegi” (lavorare, studiare, avere libero accesso a ristoranti, teatri, stadi), dall’altro i non vaccinati, ritenuti gli unici untori e diffusori del Covid. La Certificazione Verde, però, non costituisce un presidio di sicurezza, in quanto ormai è riconosciuto da tutti che i vaccini utilizzati non immunizzano, aumentano soltanto il livello degli anticorpi. Alla luce di queste considerazioni, appare abbastanza evidente che l’unico obiettivo sia quello di far vaccinare quanta più gente possibile. Perché quindi, anziché agire per vie ambigue, non si introduce direttamente l’obbligo vaccinale?

Senza entrare nel merito di questioni su cui si dovrebbe probabilmente discutere all’infinito, sono evidenti le differenze dell’Italia con il resto dell’Europa. Mentre in diversi Stati si è già proceduto con le riaperture totali e l’addio a tutte le restrizioni senza alcun utilizzo di Green Pass o di marchi Covid free, nel nostro Paese (e nel caso specifico a Messina) si continua a incutere paura nella mente delle persone, a cercare un capro espiatorio che non esiste. Il “nemico” diventa un pericolo per la comunità e come tale è necessario riconoscerlo. Una pratica che molti hanno affiancato alla propaganda antisemita creata da Nazismo e Fascismo, come affermato dal deputato Sara Cunial (ex M5S) e dal filosofo Diego Fusaro, perché riporta un sistema di discriminazione che appunto mancava da oltre 70 anni. Ovviamente arrivare ad avanzare questo tipo di paragoni appare enormemente esagerato. Anche l’opportunità di ottenere un marchio come il “Covid free zone” rimane pur sempre libera e non obbligatoria per i commercianti messinesi. Certo è che, dopo quasi due anni di pandemia, sarebbe pure ora di tranquillizzare la gente e cercare di restituire ai cittadini una normalità che molti stati europei hanno già raggiunto nonostante percentuali di vaccinati molto inferiori all’Italia e soprattutto senza patemi esagerati.

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