Mortalità durante il parto: argomento sempre meno tabù

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L’avv. Andrea Marzorati: “La gravidanza è l’evento significativo nella vita di ogni donna ma anche tra i più delicati. Un tema tanto attuale quanto a volte drammatico. Il nuovo film americano Pieces of a Woman scoperchia gli animi e fa riflettere”

La gravidanza è per definizione il giorno della vita e della gioia, ma talvolta può succedere che, in poche ore, accada l’impensabile e si trasformi in tragedia, la più terrificante nella vita di ogni genitore. La morte perinatale è il decesso del feto a partire dalla 28 settimana o del neonato entro la prima settima. Un fenomeno di cui si parla poco e che spesso resta solo nel trauma di chi lo vive o lo ha vissuto ma che accomuna più̀ di 2 mila genitori l’anno solo in Italia. Ogni giorno, nel nostro Paese, secondo i dati più̀ recenti, muoiono 6 bambini di cui 3 entro i primi 7 giorni di vita. Nel mondo 3 milioni di famiglie. Questo, nonostante l’incidenza della mortalità perinatale sia diminuita negli anni grazie anche alle moderne tecniche di diagnosi e di monitoraggio del benessere fetale. Non c’è una causa unica e talvolta le motivazioni non sono note. Parlarne è doloroso ma è necessario farlo per completezza di informazione.

“La mia riflessione nasce dopo avere visto il film Pieces of a Woman, l’emozionante e drammatico racconto tratto dalla sceneggiatura di Kata Weber, moglie dello stesso regista del film, Kornél Mundruczó. Il film ci riporta la storia da loro vissuta e si concentra su una donna alla vigilia del parto che decide di partorire volontariamente in casa con l’aiuto di un’ostetrica. Nonostante tutti i tentativi di salvare la piccola, la donna si ritrova nel suo muto dolore ad accettare il lutto, a distanza di un anno, e dopo una causa penale con richiesta di indennizzo per la figlia morta. La storia ruota attorno alla domanda sul perché qualcosa all’improvviso accade.” – commenta l’avv. Andrea Marzorati, esperto in responsabilità medica con www.impegnosalute.com

“Secondo le statistiche, l’ostetricia e la ginecologia sono le branche della medicina dal più alto rischio clinico per numero di eventi avversi ed entità dei risarcimenti. La recente legge Gelli-Bianco sulla responsabilità civile e penale degli esercenti la professione sanitaria è intervenuta modificando la normativa di riferimento. Attualmente infatti, agendo civilmente, si tende a chiedere il risarcimento alle sole strutture sanitarie e non ai medici personalmente”.

“La prima cosa che però i genitori ci chiedono non è tanto di ottenere il risarcimento per la perdita di chance o del vincolo parentale, quanto di aiutarli a capire perché sia successo, se trattasi di un caso di malasanità e se era evitabile.” Un peso anche di natura psicologica – prosegue – “una madre che perde un figlio alla nascita, infatti, spesso subisce un danno biologico psichico permanente. Il pensiero generalmente si caratterizza per una polarizzazione sulla morte del figlio, con un continuo ripensare sulle cause e sugli interventi non attuati che avrebbero potuto salvarlo. Una relazione psichiatrico forense potrebbe eventualmente evidenziare un quadro menomativo costituito da esiti di natura neuropsicopatologica caratterizzati prevalentemente da sindrome ansioso-depressiva e post traumatica. Le condizioni della madre vengono valutate dal Consulente tecnico tenendo anche conto dei criteri diagnostici del DSM 5 (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) potendo, infatti, a volte configurarsi un Disturbo dell’Adattamento con Ansia e Umore Depresso Misti Persistente. Anche nel padre può insorgere un quadro ansioso-depressivo, caratterizzato da umore depresso, disforia, sentimenti di perdita di speranza, preoccupazione o irrequietezza ma anche limitazione della vita relazionale e riduzione della progettualità futura, manifestazione di ansietà o disagio a fronte di pensieri, ricordi, situazioni ricollegabili all’evento traumatico. Nonostante il trattamento psicologico, non sono rari i casi contraddistinti da un decorso cronico e prolungato nel tempo, rappresentando un’evenienza comune in risposta a fattori di stress stabili.”

Secondo il Certificato di assistenza al parto (CeDAP) pubblicato dal Ministero della Salute nel 2020, i dati rilevati per l’anno 2017 evidenziano che, a livello nazionale, l’89,5% dei parti è avvenuto negli Istituti di cura pubblici ed equiparati, il 10,4% nelle case di cura e solo lo 0,1% altrove (in altra struttura di assistenza o – come descritto nel film – nel domicilio).  In particolare, su 452.270 parti avvenuto in Italia, il 0,08 è avvenuto ai domiciliari. Nel 2020, a causa del Covid, si è registrato un lieve incremento del numero di parti a casa, per il timore delle neomamme di contrarre l’infezione in ospedale, ritenendo così più sicuro il proprio domicilio.

Secondo uno studio realizzato nel 2019 dalla Ben-Gurion University of the Negev (Israele), ripreso in Italia anche della Società Italiana di Neonatologia (SIN), è stato evidenziato che con il parto in casa il rischio di complicazioni per mamma e neonato si triplica e la possibilità di mortalità neonatale è 2,6 volte maggiore rispetto ad un parto in ospedale. Tuttavia, altri studi, come quello di Hutton del 2019, in Paesi con servizi di parto a domicilio più o meno integrati, sembrerebbe ridurre in modo significativo il divario tra parto a casa rispetto a quello nelle strutture pubbliche e private. Peraltro – prosegue l’avvocato – “è innegabile che, in caso di complicanze, l’assistenza che madre o figlio possono ricevere in una struttura sanitaria sia più ampia rispetto a quella domiciliare. Pur se in presenza di un’ostetrica formata per la rianimazione e con comprovata esperienza di assistenza al parto a casa, esistono infatti molti eventi avversi che possono essere affrontati solo nella struttura sanitaria. Ci sono poi casi in cui si deve ricorrere al taglio cesareo in luogo del parto naturale, non potendo quindi la donna optare per il parto domiciliare. Il taglio cesareo programmato può essere necessario, tra l’altro, in caso di placenta previa, o di feto con posizione podalica con manovre che non riescono o non si possono attuare, o in caso di feto con un peso stimato uguale o oltre i 4,5 Kg, o in presenza di talune infezioni della madre che il feto potrebbe contrarre passando dal canale del parto”.

“Sono convinto che i racconti di esperienze vere che rivelano dettagli personali ed emotivi possano suscitare reazioni avverse nei confronti di chi rende pubblico un fatto che potrebbe restare un “dolore privato”, ma nel contempo generano solidarietà e vicinanza perché servono per tutte le altre donne”.

Anche per questo il 6 giugno di ogni anno ricorre la ‘Giornata Internazionale del Parto in Casa’, mentre a ottobre, il 15, si celebra il ‘BabyLoss Awareness Day’, la giornata mondiale della consapevolezza sul lutto in gravidanza e dopo la nascita, in nome di quei bambini che non ci sono più̀ ma che sono esistiti e meritano un’identità nella memoria dei genitori e della società̀.

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