“Quando, all’inizio degli anni Duemila, il progetto del Ponte sullo Stretto tornò al centro dell’agenda nazionale come opera strategica per i collegamenti europei, gli enti tecnici chiarirono subito un punto fondamentale: il Ponte non poteva e non doveva essere un’opera isolata. La sua funzionalità dipendeva interamente dalla capacità del territorio calabrese – e in particolare di quello reggino – di assorbire, distribuire e governare i flussi di traffico generati”. Lo afferma in una nota Enzo Cuzzola, già assessore del Comune di Reggio Calabria e di Messina.
“È in quel contesto che ANAS, insieme alla Provincia di Reggio Calabria, elaborò e approvò un piano organico di viabilità, concepito come parte integrante del progetto Ponte. Un piano complessivo, coerente, che individuava priorità precise e opere da realizzare in parallelo, non “dopo”. Tra gli interventi previsti figuravano la Bovalino–Bagnara, indicata come priorità assoluta per il collegamento trasversale Ionio–Tirreno; una dorsale pedemontana interna capace di connettere l’area aspromontana con l’Autostrada del Mediterraneo; l’adeguamento strutturale della Statale Jonica 106, destinata a diventare asse portante del versante orientale; e, per l’area metropolitana di Reggio Calabria, una nuova infrastruttura decisiva: la cosiddetta “Tangenziale a Monte”. Quest’ultima, ricordata dall’ingegnere Domenico Italo Cuzzola, già dirigente della viabilità, nasceva da una constatazione tecnica evidente: l’attuale tangenziale era già allora destinata a essere inglobata dall’espansione urbana, perdendo la funzione di by-pass, mentre i centri collinari continuavano – e continuano – a gravare sulla città con una viabilità “a pettine”, tutta orientata verso valle”.
“La Tangenziale a Monte era pensata come raccordo interno tra Autostrada del Mediterraneo (A2) e nuova Statale Jonica 106, collegando Campo Calabro con l’area di San Filippo di Pellaro. Un asse di scorrimento veloce capace di intercettare i flussi prima dell’ingresso urbano, unendo Tirreno e Ionio senza attraversare il centro cittadino”.
“Il tracciato ipotizzato attraversava le aree di Vito, Condera, Cannavò, San Sperato, Gallina e Mortara, con più tratti in galleria, quindi con costi elevati ma coerenti con l’orografia del territorio e con l’importanza strategica dell’opera. I benefici attesi erano chiari: riduzione del traffico urbano, maggiore sicurezza, migliore accessibilità per i centri collinari, nuove opportunità di sviluppo per aree oggi penalizzate”.
“Con il progressivo arenarsi del progetto Ponte, però, l’intero sistema di opere connesse è scomparso dal dibattito pubblico, come se fosse esistito solo in funzione di quell’unica infrastruttura. In realtà, quelle opere erano – e restano – necessarie al territorio, indipendentemente dal Ponte”.
“Il vero limite è stato politico e programmatorio: molte di queste ipotesi non sono mai state trasformate in Progetti di Fattibilità Tecnico-Economica (PFTE). Senza quel passaggio non esistono costi certi, cronoprogrammi, priorità finanziarie. Senza PFTE, le infrastrutture non entrano nei programmi nazionali ed europei e restano sulla carta”.
“A distanza di oltre vent’anni, la domanda resta inevasa: che fine ha fatto il progetto complessivo della viabilità calabrese pensato insieme al Ponte? Ripartire da quella visione, anche oggi e anche senza il Ponte, significherebbe finalmente dotare la Calabria – e Reggio Calabria in particolare – di una strategia infrastrutturale degna di questo nome”.



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