Erano 92 minuti di applausi, in quell’occasione. Diciamo che, visto che si parla di calcio, andrebbero bene anche 90. 90 minuti di applausi dopo aver affermato che la proposta di Gabriele Gravina è come la “Corazzata Kotemkin” del film “Fantozzi”: una cagata pazzesca… Non sappiamo se il numero uno federale faccia di tutto per farsi male da solo. Come se non bastasse il terzo spareggio consecutivo per accedere al Mondiale (con relativo terzo fallimento); come se non bastasse una crisi generale del calcio italiano che non solo non si placa, ma continua ad essere sempre più rapidamente pericolosa; come se non bastassero i fallimenti continui di società professionistiche (prima in estate, ora anche durante il campionato); come se non bastassero i deferimenti e le penalizzazioni continue. Insomma, come se non bastasse tutto questo, Gravina se ne esce con una proposta che fa veramente impallidire.
Intervenuto nel corso di Sport Industry Talk di RCS, parlando di riforma dei campionati, Gravina ha affermato: “cento squadre professionistiche sono troppe. Siamo l’unica federazione al mondo con tre livelli professionistici. Serve coraggio: il decreto legislativo n. 36 consente di passare al semiprofessionismo con sgravi fiscali importanti per la Lega Pro. Il turn-over è eccessivo, dannoso e insostenibile. In Serie A retrocede il 15%, in Serie B circa il 35% delle squadre, in C il 20%. Negli ultimi quattro anni in Serie C tre retrocesse su quattro sono fallite. Per cambiare il numero delle squadre serve il consenso di tutte le componenti che, ad oggi, manca. Dobbiamo raffreddare il sistema. Probabilmente il 10% di turnover in A, il 20% in B e il 20% in C è un’altra soluzione realistica. Entro dicembre farò io questo tipo di proposta”.
Come sarebbero retrocessioni e promozioni con la proposta di Gravina
Cosa significa tutto questo? In Serie A due retrocessioni ogni anno (adesso sono tre); in Serie B due promozioni in A (rispetto alle tre attuali) e due retrocessioni in C (ora sono quattro); in Serie C due promozioni in B (adesso sono quattro) e dieci retrocessioni in D (ora sono nove). Una rivoluzione vera e propria. Sì, ma a che serve? Il pallino di Gravina, da tempo, è sempre legato a questa formula di promozioni e retrocessioni. Dice che sono troppe. Eppure negli anni ’90, nei primi anni 2000, in Serie A c’erano 18 squadre e ne retrocedevano 4. Uno spettacolo. E infatti era il campionato più bello del mondo. E nessuno si poneva il problema delle retrocessioni. Tutte le squadre lottavano fino all’ultima giornata per un obiettivo, in testa o in coda, anche perché la classifica era ovviamente molto più corta.
Con il passaggio a 20 squadre, e a 3 retrocessioni, si sono cominciate a vedere le prime crepe. Tante squadre “in vacanza” a marzo, già salve, e Serie A sempre più noiosa. A maggior ragione senza l’istituzione di playoff e playout che potessero rendere maggiormente competitivo il campionato. Per questo, oggi, diminuire promozioni e retrocessioni sembra soltanto essere una scelta folle. In Serie A e a cascata nelle altre serie più basse. La scelta andrebbe a premiare solo e sempre le solite, regalerebbe campionati “fotocopia”, con sempre meno interesse e passione.
Scoraggiando, altresì, tanti imprenditori ad investire nelle proprie società. Che motivo avrebbe, un club, a investire tanto denaro se già sa che basta averne due sotto per salvarsi? E che motivo avrebbe a farlo sapendo che i posti per le promozioni nelle categorie superiori si riducono? Anziché risolvere i problemi, sembra tanto che una proposta del genere possa soltanto aumentarli. E non eviterebbe, nient’affatto, i fallimenti a cascata di tante società storiche che – invece – avrebbero bisogno di maggiori tutele, di più entrate e meno spese.



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