I bambini rom non vivono forse in condizioni peggiori? Perché accanirsi contro la famiglia del bosco?

Perché tutto questo accanimento contro la cosiddetta famiglia dei boschi? Tanto accanimento da sottrarre tre bambini ai propri genitori per ordine del Tribunale per i minorenni dell’Aquila

di Francesco Marrapodi – Ci sono bambini nei campi rom che crescono senza scuola, senza cure, spesso immersi in una realtà segnata da precarietà, igiene insufficiente e assenza di tutele. Eppure nessuno irrompe nei loro giorni per strappare loro il diritto – fragile, ma pur sempre un diritto – di vivere come possono, come sanno. Lo stesso accade agli extracomunitari ammassati nei sobborghi delle città, che sopravvivono in ripari improvvisati, tra lamiere e baracche, senza servizi e senza protezione. E allora la domanda torna a battere come un tamburo: perché tutto questo accanimento contro la cosiddetta famiglia dei boschi? Tanto accanimento da sottrarre tre bambini ai propri genitori per ordine del Tribunale per i minorenni dell’Aquila.

Si tratta della famiglia di Nathan Trevallion e Catherine Birmingham, genitori di tre figli di 8 e 6 anni, che hanno scelto di vivere in un’ex casa colonica. Si dice sia “per il bene dei bambini”. Ma siamo davvero sicuri che sottrarli ai loro genitori, portarli via dall’unico abbraccio che conoscono, separarli dalla voce che li ha cresciuti, non sia un trauma più profondo che vivere in libertà, destinato a lasciare cicatrici indelebili? Del resto si tratta solo di una famiglia che chiede di poter vivere la propria vita nella più dignitosa delle povertà, e che, a differenza di molte altre situazioni analoghe, non rappresenta un pericolo per la società e non ferisce e non disturba proprio nessuno.

Entrambe le scelte sono dubbie

La verità è che la questione è molto più complessa e controversa, è un nodo intricato, un labirinto morale in cui ogni scelta sembra contenere una parte d’ombra. Da un lato, togliere i figli a dei genitori che li crescono in una vita essenziale, lontana dai veleni del mondo, appare come un gesto brutale. Dall’altro, isolare dei bambini dal resto della società, impedendo loro di conoscere la complessità del presente, non può dirsi una scelta priva di responsabilità.

La voce di un padre che si sente tradito dalla società

Nathan Trevallion parla con la voce di chi trattiene le lacrime dietro un velo di dignità: “Vorrei restare… ma sto valutando un’altra strada: mia moglie e i bambini tornano in Australia, e io resto qui a badare agli animali”. Cinquantunenne, ex chef di Bristol, padre dei tre piccoli portati via per ordine del Tribunale per i minorenni dell’Aquila, Nathan è il volto umano di un dolore che lacera. La sua famiglia – anglo-australiana, radicata da anni nel bosco di Palmoli, tra Chieti e l’infinita quiete degli alberi – vive quasi in autosufficienza: niente acqua corrente, servizi igienici rudimentali, un rudere e una roulotte come rifugio. Una vita essenziale, estrema, ma scelta.

La patria podestà dello Stato?

Lo Stato, però, ha deciso diversamente, trasferendo i tre bambini – una bimba di otto anni e due gemellini di sei – in una casa-famiglia di Vasto. La vicenda esplode nel dibattito nazionale come un fulmine nel cielo d’inverno. Il vicepremier Matteo Salvini annuncia di voler raggiungere Palmoli per difendere la famiglia, accusando lo Stato di essersi spinto “in modo vergognoso” dentro le scelte più intime e sacre della vita privata. Intanto, secondo quanto riferisce l’Adnkronos, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni avrebbe richiesto chiarimenti al ministro della Giustizia, Carlo Nordio: dagli uffici di via Arenula potrebbero partire a breve degli ispettori per valutare la legittimità delle misure adottate. La domanda resta comunque sospesa nell’aria, affilata come una lama e allo stesso tempo colma di umanità: libertà educativa o tutela dei minori? Scelta di vita o abbandono? In mezzo, come sempre, ci sono loro: tre bambini che non hanno scelto consapevolmente nulla e che ora pagano il prezzo delle decisioni degli adulti: quello di crescere senza i propri genitori.