Reggio Calabria, nel 1921 la tragedia dei fuochi di Festa di Madonna che trasformò la festa in lutto

Il ricordo di Enzo Cuzzola rievoca l’esplosione sul Lungomare che spezzò la gioia della città, lasciando dolore ma anche una grande ondata di solidarietà

“La festa, lo scoppio e la solidarietà. Il pomeriggio del 15 settembre 1921 la città di Reggio era vestita a festa. La Fiera di settembre, i carri infiorati che avevano attraversato il Corso Garibaldi alle quattro e mezza, la gente che applaudiva sorridendo: tutto sembrava dire che la vita, nonostante le fatiche del dopoguerra, poteva ancora profumare di speranza”. E’ quanto riportato da Enzo Cuzzola, noto professionista reggino e già assessore comunale di Reggio Calabria e Messina, in queste ore di festività ricordando un drammatico evento accaduto proprio durante la festa patronale poco più di cento anni fa.

“Quando scese la sera, il popolo si riversò sulla Via Marina per i fuochi d’artificio, lo spettacolo più atteso. Le famiglie si strinsero insieme, i bambini al collo dei padri, le ragazze che ridevano guardando le scintille riflettersi sul mare. Reggio si riconosceva comunità, unita sotto il cielo di settembre. Poi, improvviso, lo scoppio. Non il bagliore alto e festoso, ma un boato sordo, vicino, che spaccò la notte. Una bomba, invece di salire in aria, cadde e deflagrò sul palco della batteria. Il fragore fu quello di un terremoto. In un attimo la gioia si mutò in urlo: gente che correva, che cadeva, che calpestava, che gridava i nomi dei propri figli”.

“I soccorsi furono immediati, ma impotenti. L’ospedale accolse corpi mutilati, volti insanguinati, vite spezzate. Tra i nomi che il giornale del giorno dopo consegnò alla memoria ci furono quelli di Cannavò e Riparo: Antonino Fallanca, Antonia e Domenico Ventura, Giovanni e Giuseppe Giordano, Demetrio Dattola. Gente semplice, contadini, muratori, maniscalchi. Gente del popolo, che quel giorno aveva soltanto voluto vedere la luce dei fuochi riflettersi sul mare”.

“Il Corriere di Calabria scrisse parole dure e pietose, chiamando la città a soccorrere i superstiti. Una sottoscrizione popolare si aprì subito: avvocati, medici, commercianti offrirono lire per le famiglie colpite. Perché la festa, che doveva restare ricordo di gioia, non lasciasse soltanto dolore e miseria. Ancora oggi, tra chi scende sul Lungomare Falcomatà nelle sere di settembre, qualcuno ricorda sottovoce quella tragedia. E dietro lo splendore dei fuochi che illuminano il cielo reggino, non è difficile sentire un’eco lontana: l’urlo di una città che quella notte imparò quanto sottile sia il confine tra festa, lutto e solidarietà”.

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