Il Partito Democratico, e i suoi “compagni”, non sanno più a cosa appigliarsi per ostacolare in tutti i modi il progetto del Ponte sullo Stretto. Accusano gli altri di fare propaganda, ma i primi a farla sono loro. Nello specifico, l’ultima mossa disperata riguarda un’interrogazione parlamentare – presentata addirittura in Senato – nei confronti della pagina Facebook “Ponte sullo Stretto di Messina”. Cioè: il PD ha presentato un atto in Senato per fare luce su una pagina Facebook. Assurdo!
A renderlo pubblico, attraverso un post e a uno screen allegato, è la stessa pagina. “Ci mandano questo capolavoro presentato al Senato dal PD. Evidentemente questa pagina dà fastidio, e tanto di soldi pubblici e tempo da far buttare alle istituzioni ce ne sono a palate, no? Ogni cosa che pubblichiamo è reperibile online. Zero materiale confidenziale. Sul sito di SDM, per dire, c’è tutto il progetto scaricabile, compresi i paper dell’expert panel e di COWI, con le info che smontano le critiche campate in aria. Foto, video… tutto disponibile. Tutte le fonti sono sempre chiare. Idem sito del politecnico di Milano, di Brown, ecc. Ma chi vede complotti, a quanto pare, non sa cliccare download o fare una ricerca su DuckDuckGo. Perdoniamo i boomer: non è una colpa così grave”.
Simpatico poi urlare alla denigrazione quando quelli che “attacchiamo” dicono che il progetto è fatto male, pericoloso e che quindi – per palesare in modo chiaro il sottotesto – i progettisti del ponte sono delle specie di assassini. I giapponesi di IHI, i danesi di COWI… tutti incapaci che vogliono costruire una roba che crolla e ammazza le persone. Poesia. E torna pure la leggenda di Report, quella che ci accusava di essere “pakatih da Uibìld” (spoiler: non ce ne frega nulla di Webuild, come non ce ne frega una mazza di Salvini e compagnia, anche perché il centrodestra su certi argomenti spara fesserie da manuale). Il “grande scoop”? Una tizia di un’agenzia che aveva rapporti con loro aveva girato un nostro post in cui evidenziavamo le boiate dette in trasmissione. Roba da veri segugi, eh!
Come sempre si cerca di screditare una pagina che si dedica a un argomento (come mille altre su mille argomenti di qualsiasi tipo su Facebook, IG ecc) non battendosi sul campo scientifico, tecnico e dei contenuti, ma facendo la caccia alle streghe e ipotizzando gombloddih. A noi piacerebbe un dibattito che si basa sui dati di fatto, non su CHI SIETEH1!1!1!1!, anche perché chi ha un minimo di dimestichezza con le tecnologie post-1995 trova tutto. Ma forse pretendiamo troppo. Noi andiamo avanti a fare informazione, senza farci intimorire. Ogni sciocchezza stile questa interrogazione possiamo smontarla, anche se la dicesse il Padre Eterno in persona. Minacce e insulti ne arrivano a pacchi (certi DM vi farebbero gelare il sangue), ma è il prezzo quando tocchi temi scomodi.
Ma sapete una cosa? Allenteremo la presa e inizieremo a pubblicare meno, non per dare ragione ai gombloddari, ma perché siamo fin troppo comodi a SDM e compagnia, facciamo “il lavoro sporco” per loro, che invece devono mantenere toni istituzionali e non si difendono da certe cagate. E visto che lo facciamo gratis, nel tempo libero, anche no. Vero che per fare un post bastano pochi minuti, niente di che, ma per quest’opera (come altre) resta una passione che abbiamo da anni e non abbiamo intenzione di farci sfruttare. Soprattutto se devono riempirci di shitstorm, bugie e minacce. Alla fin fine, volete sapere la parte più ironica? Se il governo facesse passi falsi sull’opera e non mantenesse le promesse, saremmo i PRIMI a dargli contro. Perché noi siamo liberi e senza guinzagli. Tanti altri… beh, non sembrerebbe. Ma speriamo di sbagliarci!”.
In un nuovo post, poi, la stessa pagina torna sull’argomento. “Torniamo sulla questione di ieri: l’interrogazione parlamentare del Partito Democratico contro la nostra pagina. Una vicenda surreale, a tratti divertente, ma che – a dirla tutta – ci preoccupa, e ora vi spieghiamo perché. Questo (Antonio Nicita, di Siracusa) è il politico che ha presentato quell’interrogazione, insinuando che noi avremmo accesso a materiale confidenziale e irreperibile altrove, tanto da far “puzzare” la situazione. Se fosse vero, saremmo i primi a riconoscerlo. Peccato che ciò che afferma non corrisponde minimamente alla realtà.
Tutto ciò che pubblichiamo è disponibile liberamente online: sul sito ufficiale della società “Stretto di Messina”, su quello di Bill Brown, su quello del Politecnico di Milano e su decine di altre fonti che abbiamo segnalato più volte. Parliamo di un progetto scaricabile gratuitamente dal sito ufficiale della società interessata. Non era mai accaduto nulla di simile nella storia: i progetti del ponte sullo stretto di Akashi o dei Dardanelli non sono mai stati resi pubblici, nemmeno dopo la costruzione.
Quello che ci diverte – ma anche ci spaventa – è che un politico, per di più di rilievo, non sia stato in grado di fare una semplice ricerca online. Significa che chi governa e tiene in mano il timone del Paese non sa purtroppo usare strumenti tecnologici di base, disponibili da vent’anni. Questo fa sorridere, ma allo stesso tempo ci preoccupa profondamente per il presente e il futuro della politica italiana.
Ci auguriamo che d’ora in poi, prima di far perdere tempo al Senato con teorie fantasiose e affermazioni false, le istituzioni verifichino almeno le informazioni pubbliche: bastano letteralmente pochi secondi su Internet per trovare tutto ciò che condividiamo su questa pagina, da anni, ben prima che il progetto fosse riattivato dall’attuale governo. Facciamo divulgazione su questo tema come migliaia di altre pagine su altri argomenti. Non siamo pagati da nessuno, non abbiamo interessi nelle aziende coinvolte, né tantomeno nei politici interessati. Anzi: siamo stati spesso critici verso il centrodestra su molti temi – e non che la sinistra, negli ultimi anni, si sia distinta per rigore scientifico.
Chiediamo solo maggiore serietà e competenza alle istituzioni. Una cosa è quando Report racconta fandonie o presenta “scoop” inconsistenti – lì parliamo di una trasmissione televisiva, che pure è pagata con soldi pubblici, ma possiamo vagamente perdonarla. Tutt’altra cosa è quando simili bugie vengono diffuse da parlamentari che siedono nelle istituzioni del Paese e non sanno fare una banale ricerca su Google, DuckDuckGo, YouTube o una ricerca inversa di immagini. A quel punto, la situazione diventa allarmante”.



Vuoi ricevere le notifiche sulle nostre notizie più importanti?