Doveva essere “l’Ohio d’Italia“, cioè la Regione in bilico tra destra e sinistra che avrebbe spostato gli equilibri politici del nostro Paese. E invece le elezioni regionali di ieri nelle Marche hanno raccontato un’altra verità, molto lontana da quella paventata dai sondaggi e dai politologi super esperti dei salotti televisivi. Non c’è stato alcun testa-a-testa, non c’è stata partita, si è capito sin dal primo istante che la destra avrebbe stravinto con un distacco enorme.
Ed è finita così: 52,4% per Francesco Acquaroli (Fratelli d’Italia), 44,4% per Matteo Ricci (Partito democratico). Otto punti percentuali di differenza, altro che “testa-a-testa“, altro che “Ohio d’Italia“.
Il record storico di Acquaroli: non ci era mai riuscito nessuno!
Il primo dato, il più rilevante che nessuno sottolinea in questi giorni: è la prima volta nella storia del regionalismo, che nelle Marche il centrodestra si conferma alla guida della Regione. Incastonate tra Romagna, Toscana e Umbria, infatti, le Marche sono sempre stata una “regione rossa“, governata a tratti dalla democrazia cristiana (1970-1978 e 1990-1993) e a tratti dal PSI (1978-1990 e 1993-1995) nell’era della prima Repubblica. Poi, dall’elezione diretta dei governatori Regionali, ha governato sempre e solo la sinistra per venticinque lunghissimi anni con Vito D’Ambrosio (1995-2005), Gian Mario Spacca (2005-2015) e Luca Ceriscioli (2015-2020). Cinque anni fa, il 30 settembre 2020, Francesco Acquaroli (Fratelli d’Italia) segnava il primato del primo Presidente di Regione di centrodestra nella storia delle Marche, e oggi è riconfermato: non era mai successo nella storia delle Marche che la destra governasse la Regione per due consiliature consecutive.
Non è roba da poco: con il governo Meloni in carica da tre anni, sarebbe stata fisiologica – in base alla politica dell’alternanza democratica – una flessione di consenso dei partiti che da anni governano il Paese e la Regione, e invece è accaduto esattamente il contrario. La destra governa e vede aumentare il proprio consenso. Rispetto a cinque anni fa, infatti, Acquaroli ha preso addirittura più voti: nel 2020 era stato eletto con il 49,1% delle preferenze, oggi ha superato il 52,4% incrementando sensibilmente l’apprezzamento e conquistando fette di elettorato.
Tutto questo, lo ripetiamo, in una Regione in cui la sinistra avrebbe dovuto vincere facilmente (come in Liguria, Abruzzo, Basilicata, Calabria), sempre in nome dello storico principio dell’alternanza per cui – ad esempio – in Calabria dove si vota domenica prossima, nei 55 anni di storia del regionalismo, mai nessuno è riuscito a vincere due volte consecutive. Occhiuto, a meno di clamorose sorprese, sarà il primo, bissando la storica doppietta di Acquaroli.
La destra continua a crescere, la sinistra è allo sbando
Soffia ancora forte il vento di centrodestra in Italia: evidentemente la stabilità, la credibilità e le politiche del governo Meloni vengono apprezzate dai cittadini, che invece non comprendono le posizioni di una sinistra sempre più estremista e miope sulle battaglie fondamentali, e senza una ricetta alternativa per il futuro dell’Italia.
Non basta mettersi insieme con l’unico scopo dichiarato di “battere la destra“; non basta scegliere figure dal nome importante quali Ricci nelle Marche e Tridico in Calabria. Servono contenuti, servono idee, servono proposte concrete e tangibili che non siano il ritorno al fallimentare reddito di cittadinanza, o tantomeno il sostegno alla causa ProPal che giustifica i crimini dei terroristi di Hamas contro il popolo ebraico.

Le due misure della sinistra sull’affluenza alle urne: l’ultimo alibi…
Alla sinistra peggiore, quella che non intende fare auto critica ed interrogarsi sui motivi della sconfitta ma si arrampica sugli specchi alla ricerca di improbabili giustificazioni (mettendo così le basi per ulteriori future sconfitte), non è rimasto che appigliarsi al solito alibi: quello dell’affluenza alle urne. “Eh ma hanno votato in pochi“; “c’è disaffezione nei confronti della politica“; “ormai non vota più nessuno“; “la democrazia è mutilata“; “così governano le minoranze“; tutte fandonie ipocrite che sentiamo solo ed esclusivamente quando vince il centrodestra, come a voler delegittimare il pieno mandato democratico ed elettorale.
L’affluenza alle urne non significa nulla: è un dato che si presta ad interpretazioni, senza una verità assoluta e certificata. Stavolta nelle Marche non è stata neanche così bassa: ha comunque votato il 50,01% degli aventi diritto, pari a 644 mila elettori. L’altra metà ha deciso di rimanere a casa, forse perchè aveva di meglio da fare, forse perchè non gli interessa la politica, forse perchè non apprezzava nessuno dei candidati, forse perchè ha dimenticato dove ha posato la scheda elettorale o forse perchè in quel weekend era in vacanza fuori porta. Solitamente la quota di chi si astiene si divide più o meno a metà tra i due schieramenti, e non influisce sull’esito finale del voto.
Fatto sta che tutti questi problemi sull’affluenza alle urne, come per magia, non esistono quando a vincere è la sinistra. Nelle stesse Marche, infatti, alle elezioni regionali del 2015, le ultime vinte dalla sinistra con Luca Ceriscioli, l’affluenza alle urne fu addirittura inferiore, del 49% con appena 611 mila votanti, oltre 30 mila in meno rispetto ad oggi. E l’anno scorso in Emilia Romagna la sinistra ha vinto con un’affluenza alle urne del 46%, nella Regione che undici anni fa, nel 2014, lanciava Stefano Bonaccini governatore con appena il 37% di affluenza alle urne. Nessuno gridò allo scandalo.
Il delirio di onnipotenza: dagli Exit Poll al “primo partito”, spettacolo tragi-comico sui grandi media!
Ma la sinistra si rende stucchevole praticamente in continuazione. Guardate i titoli del primo pomeriggio di ieri, da Sky e La7 e Rai3: “Exit Poll, Acquaroli-Ricci sono pari“, “Exit Poll, nelle Marche è sfida all’ultimo voto“, e il più clamoroso Repubblica, “Pd primo partito” con una foto gigante di Elly Schlein in apertura sulla home page. Peccato che poi il Pd si è fermato al 22,5% mentre Fratelli d’Italia ha raggiunto il 27,4%. “Eh ma alla lista del Pd devi aggiungere anche i voti delle tre liste civiche di Ricci, che hanno preso il 10,7%, quindi il Pd ha raggiunto il 34%“, rilanciano gli astuti progressisti. Dimenticano, però, come anche Acquaroli avesse due liste civiche riconducibili a Fratelli d’Italia per un totale superiore al 7%, che porta il partito di Giorgia Meloni al 35%. Sempre davanti al Pd.
E poi c’è la coalizione: Forza Italia si ritrova assoluto protagonista della scena politica nazionale, terzo partito dopo FdI e Pd con l’8,6%. Tiene la Lega di Salvini al 7,4%, quarto partito assoluto, così come i centristi della coalizione che tra Udc e Noi Moderati raggiungono il 3,5%. A sinistra, invece, è un flop totale: esiste solo il Pd. Il Movimento 5 Stelle crolla al 5%, gli estremisti di AVS (avete presente Bonelli e Fratoianni?) crollano addirittura al 4%. Per entrambi, grillini e sinistra estrema, un solo seggio in consiglio regionale (il Pd ne avrà 8; Fratelli d’Italia 12, Lega e Forza Italia 3 ciascuno).
Adesso c’è la Calabria, poi Toscana, Campania, Puglia e Veneto
Domenica si vota in Calabria. Occhiuto insegue la storia: mai nessuno, in Calabria, è stato rieletto governatore da Presidente uscente. Mai nessuno, nè destra nè sinistra, ha governato la Calabria per due consiliature consecutive, se non lo stesso Occhiuto per una fortuita coincidenza tragica quale fu la prematura morte di Jole Santelli dopo pochi mesi dall’elezione nel 2020. Anche qui, l’impressione sul territorio è che la forbice tra Occhiuto e Tridico sia molto più ampia rispetto a quella indicata dai sondaggi. Tra sei giorni il verdetto delle urne. Dopo una settimana c’è la Toscana, dove il risultato sembra scontato nella terra governata sempre e solo dalla sinistra nella storia. A fine novembre si vota in tre grandi Regioni per oltre 14 milioni di abitanti: Campania, Veneto e Puglia. Attenzione qui a possibili sorprese, anche clamorose alle falde del Vesuvio.



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