Una delle accuse peggiori che vengono rivolte a Israele è quella di aver deliberatamente imposto una carestia a Gaza, privando i palestinesi di cibo e inducendoli alla morte per fame, o al più ad abbandonare il proprio territorio. Gaza è un’area fra le più densamente popolate del mondo, nonchè teatro di guerra, la situazione non è chiaramente facile. Eppure, secondo un recente studio autorevole, la soglia di calorie pro capite non è mai scesa sotto la cifra base per la sopravvivenza.
Inoltre, nei primi giorni di settembre, presso il quartiere Al Rimal di Gaza City ha aperto addirittura un “Nutella sweet e cafè“. La Ferrero non c’entra nulla ma, nonostante la guerra, c’è chi ha deciso di aprire il proprio business con tanto di sponsorizzazione social. I proPal sono insorti urlando alla fake news, alla propaganda israeliana, eppure diversi fact-cheker (come il severo e intransigente Open che è andato a guardare i riflessi nelle vetrine di Google Maps) hanno appurato che la notizia sia vera e confermata.
Con una ‘carestia’ in atto, a Gaza hanno aperto un negozio di dolci. Dolci finti, dolci da immaginare? No. Ci sono. C’è anche il personale, la via, le foto social.
Ma quindi, che fine fa il cibo a Gaza?
Ne viene fuori un bipolarismo non da poco. Se da una parte ci sono i bambini malnutriti e i morti per fame che fanno il giro dei media internazionali, dall’altra ci sono le nuove aperture dei negozi di dolci. Un controsenso. Ma quindi, il cibo c’è o non c’è? Il Cogat (Coordinamento delle Attività Governative nei Territori) di Gerusalemme, in collaborazione con organizzazioni internazionali, organizza l’arrivo degli aiuti umanitari a Gaza: negli ultimi 2 anni sono arrivati circa 2 milioni e 36.767 tonnellate di aiuti di cui oltre 2 milioni su gomma, 9.710 via mare e quasi 8000 paracadutate dagli aerei militari.
Carichi di cibo che diventano obiettivi di Hamas che non solo se ne appropria per rifornire la proprie riserve, ma li rivende anche a prezzi maggiorati alla popolazione, per autofinanziarsi.
La denuncia di Saad Al Maschal: “mio figlio ucciso da Hamas mentre distribuiva aiuti”
“Israel National News” ha diffuso il video di un uomo, Saad Al Maschal, un ex preside della Striscia, che ha denunciato la morte di suo figlio per mano di Hamas. Il ragazzo lavorava nei siti di distribuzione degli aiuti umanitari a Khan Younis ed è morto per mano dei terroristi che hanno tentato di appropriarsi dei viveri. L’uomo ha accusato Hamas di aver abbandonato i residenti della Striscia e di rubare i loro beni. “12 giovani sono stati uccisi, a quale Islam appartengono quegli assassini e criminali? Il sangue dei nostri figli viene prima, prima dovete vendicare il sangue dei nostri figli. La nostra dignità è stata lesa, il denaro dei nostri figli è stato saccheggiato e rubato“.
Il Cogat, per evitare che si ripetano episodi simili, ha messo in atto un nuovo ingresso controllato delle merci essenziali a Gaza. il piano prevede una selezione di commercianti locali autorizzata a vendere beni di prima necessità tra cui alimenti, prodotti per l’infanzia, frutta, verdura e articoli per l’igiene. Tutto da ispezionare ai valichi affinchè non vengano introdotte anche armi. Pagamenti con bonifici tracciati.
Il cibo rubato e il caso del pallet
La World Central Kitchen ha dichiarato che, gli aiuti inviati nelle due settimane dall’11 al 23 agosto, sono andati totalmente ad appannaggio di bande armate o cittadini che non hanno atteso la distribuzione degli intermediari. La percentuale di intercettazioni del cibo inviato dal Programma Alimentare Mondiale è stata del 99.81%, mentre la Croce Rossa è riuscita a salvare circa il 22% delle scorte di luglio. A luglio erano spariti 1065 camion pieni di vario materiale con un carico di 13.200 tonnellate metriche. Per non parlare dello scandalo dei pallet di scatolame e viveri rimasti a marcire sotto il sole perchè l’ONU non dava il via libera per farli transitare dal confine. Il primo caso di carestia con invio di cibo insomma.



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