Il Ponte sullo Stretto e i terremoti: il sismologo dell’INGV Valensise smonta allarmismi e catastrofismi, “non è un luogo maledetto”

Ponte sullo Stretto e terremoti: "ma lo Stretto di Messina è veramente un luogo maledetto?": Gianluca Valensise, sismologo dell’INGV

Sulle pagine del Quotidiano della Calabria, il sismologo dell’INGV Gianluca Valensise è tornato ad approfondire circa la questione terremoto nello Stretto, in questi giorni di fermento successivi all’ok del Cipess per il progetto definitivo del Ponte sullo Stretto. “Ma lo Stretto di Messina è veramente un luogo maledetto?” è il titolo dell’articolo pubblicato da Valensise, che scrive. “Il 6 agosto scorso il CIPESS ha approvato il progetto definitivo del Ponte sullo Stretto di Messina. Subito è iniziato un florilegio di dichiarazioni, prese di posizione e oscure profezie, tutte improntate a dipingere lo Stretto come un luogo da cui tenersi ben alla larga, e nel quale è assolutamente inopportuno pensare di collocare una grande infrastruttura come il Ponte”.

“Da sempre lo Stretto viene raccontato come luogo di elezione di fatti soprannaturali: dal mito di Ulisse, che tenta di attraversarlo per onorare l’Itaca ma è insidiato da Scilla e Cariddi, al cataclisma primordiale che avrebbe staccato la Sicilia dalla penisola, consegnandola per sempre all’insularità. Ma i nostri contemporanei non sono da meno, e da giorni alimentano una narrazione fatta di rischi sottovalutati, scenari apocalittici, devastazioni incombenti. Se abitassi a Messina o a Reggio sarei molto più preoccupato di questa narrazione che non dagli eventuali guasti che il Ponte potrebbe causare”.

“I quattro ingredienti per delineare l’apocalisse”

“Gli ingredienti usati per delineare l’apocalisse prossima ventura sono essenzialmente quattro.

Il primo è il forse imminente ripetersi del forte terremoto, quello del 28 dicembre 1908, con la sua magnitudo-monstre pari a 7.1. Inutile osservare che più un terremoto è forte, più è raro, e che sismologi, storici e archeologi sono dovuti tornare indietro fino alla seconda metà dell’IV secolo dopo Cristo, 1600 anni fa, per ravvisare l’accadimento di un terremoto forse gemello di quello del 1908, per dimensione e distribuzione degli effetti. Per il resto, la sismicità nota dell’area è di livello medio-basso.

Il secondo è che i progettisti del Ponte hanno sottovalutato la PGA, l’accelerazione di picco del suolo, che sarebbe causata da un nuovo 1908. Probabilmente è vero, per ragioni che oggi ben conosciamo, ma è vero anche che non è quello il parametro che gli ingegneri progettisti hanno usato per dimensionare il Ponte. Senza contare che l’accelerazione che conta veramente è quella che il terremoto determinerebbe intorno al progetto proprio di oscillazione della struttura principale del Ponte e delle torri che lo sostengono, che varia da  30 a 50 secondi circa: e si sa che terremoti emettono ben poca energia in quell’intervallo di frequenze.

Il terzo è l’esistenza di “altre grandi faglie sismogenetiche” nella zona. Dalle mappe del Progetto Definitivo si evince che il Ponte ricade esattamente sopra la porzione più settentrionale della faglia che ha generato il terremoto del 1908; una struttura lunga 50 km che corre al di sotto dello Stretto. Sappiamo che a nord di questa grande faglia ce ne sono altre più piccole, e che nella Piana di Gioia Tauro esiste a faglia che ha generato il grande terremoto del 5 febbraio 1783. Ma poiché il “terremoto di progetto” scelto dai progettisti è proprio quello del 1908, il buon senso suggerisce che lo scenario di scuotimento che queste ulteriori faglie più distanti causerebbero rientra nello scenario già ipotizzato per una ripetizione del 1908.

L’ultimo ingrediente è quello delle cosiddette “faglie attive e capaci” (FAC): faglie di superficie, lunghe al massimo qualche chilometro e poco estese in profondità. Troppo piccole per generare esse stesse dei terremoti, sono però considerate in grado di interferire con i piloni del Ponte: la più citata è quella di Cannitello, che corre parallela alla lungomare di questa località. Ciò che non si dice è che la faglia compare in una mappa del 1983, ma non è mai stata realmente vista, fotografata e tantomeno descritta nella sua interezza, e comunque potrebbe muoversi solo se sollecitata da un terremoto come il 1908. Molti di quelli che ne parlano fanno riferimento solo alla mappa del 1983, ma chi ha lavorato in dettaglio nella zona ritiene non sia neppure una vera faglia, ma piuttosto un’antica linea di riva sollevata rispetto al livello del mare, e quindi “fossile”.

Curiosamente, tanto i favorevoli quanto i contrari all’opera asseriscono che se accadesse un nuovo terremoto del 1908, il Ponte resisterebbe in piedi, ma solo per unire due cimiteri. Un’immagine macabra, che dovrebbe però servire a risvegliare le coscienze dei messinesi e dei reggini sulla necessità che non il Ponte, ma le loro proprie abitazioni siano in grado di resistere al nuovo terremoto. Numerose pubblicazioni illustrano come Messina e Reggio siano state ricostruita a regola d’arte, coniugando eleganza e grande perizia tecnica: ma ignoriamo come si comporterebbe il patrimonio edilizio post-bellico, quando la ricostruzione post-1908 apparteneva ormai al passato. E’ semmai su quegli edifici che i catastrofisti dovrebbero accendere i riflettori.

Lo Stretto non è un luogo maledetto, ma sono maledetti i fatalismi, le amnesie, l’indolenza delle amministrazioni locali, la scarsa cultura del rischio che dominano la cultura nazionale: non solo al Sud, ma anche nel Nord e nel Centro Italia, come hanno dimostrato i terremoti dell’Emilia del 2012 e dell’Appennino centrale del 2016. Ci si eserciti a mitigare i rischi reali, ovunque in Italia, invece di paventare improbabili apocalissi usando come arma di scontro politico e ideologico”.