Anche il Corriere della Sera di oggi rilancia l’idea secondo cui l’Italia starebbe studiando un’inedita strategia per finanziare il Ponte sullo Stretto di Messina. L’opera – inserita nel programma elettorale del Centrodestra e da sempre un investimento che tutti i partiti della coalizione hanno considerato strategico per lo sviluppo del Sud – potrebbe essere classificata come spesa militare, rientrando così nel nuovo pacchetto di investimenti NATO. Una soluzione che, come scrive il quotidiano, unisce pragmatismo e “finanza creativa” per reperire fondi che alleggerirebbero il bilancio dello Stato. Non cambia nulla sotto il profilo tecnico e commerciale, è soltanto una strategia per risparmiare denaro.
Ricordiamo infatti che l’intera somma necessaria alla realizzazione del Ponte sullo Stretto (13,5 miliardi di euro) è già stata individuata ed inserita nel bilancio pubblico sin dal 2024. Nessun problema di finanziamenti, quindi. Ma se la situazione internazionale consente di modificare il reperimento delle somme per attingere ad altri fondi e liberare cifre importanti dal bilancio dello Stato, perchè rinunciare a questa opportunità?
Trump e la spinta per aumentare la spesa NATO
Il Corriere ricorda come l’ex presidente USA Donald Trump abbia svolto un ruolo decisivo nel convincere i Paesi membri a innalzare la spesa per la difesa al 5% del PIL. Di questa quota, il 3,5% è destinato a spese militari tradizionali e l’1,5% a infrastrutture strategiche. È proprio in questa seconda voce che il governo italiano vorrebbe far rientrare i 13 miliardi previsti per il Ponte, trasformandolo da sogno decennale a progetto realizzabile.
Il Ponte come asse strategico nel Mediterraneo
Un rapporto governativo, citato da Politico Europe e ripreso dal Corriere, sottolinea l’importanza strategica del collegamento. Il Ponte agevolerebbe lo spostamento di truppe e mezzi tra la Sicilia e la penisola, rafforzando la sicurezza nazionale e internazionale. Secondo questa visione, la Sicilia – considerata un avamposto verso il Medio Oriente e l’Africa – diventerebbe più accessibile per le operazioni logistiche militari. E’ un’opera dallo straordinario valore anche in casi di emergenze e calamità, e quindi potrebbe benissimo configurarsi come una spesa militare.
Critiche e dubbi da parte dei soliti contrari
Il deputato M5S Daniela Morfino non ha perso tempo ad esprimere la propria contrarietà e ha dichiarato che si tratta di un “escamotage” per giustificare un progetto ancora privo di una progettazione definitiva. E invece il progetto definitivo c’è eccome, e il M5S è schierato contro il Ponte esclusivamente per (incomprensibili) ragioni ideologiche. Anche il centro studi tedesco Bertelsmann Stiftung, come riporta il Corriere, ha lanciato l’allarme sul rischio che infrastrutture civili vengano fatte rientrare sotto la voce di spesa militare per rispettare i nuovi target NATO, senza però meglio spiegare quale sia questo “allarme”. “Allarme, in Italia fanno il Ponte sullo Stretto con i soldi del target NATO“, e quindi? Quale sarebbe il problema, per un’infrastruttura così strategica anche sotto il profilo militare?
L’Europa osserva: la decisione finale spetta all’Italia
Un portavoce della Commissione europea ha spiegato che saranno le autorità italiane a dover dimostrare la natura strategico-militare del Ponte per beneficiare delle clausole di flessibilità di bilancio. Proprio l’Unione Europea chiede con forza, da decenni, ai vari governi italiani che si sono susseguiti, di realizzare il Ponte sullo Stretto per completare il corridoio europeo Berlino-Palermo, con numerose dichiarazioni di quanto quest’opera sia considerata strategica per lo sviluppo di tutta l’Unione Europea. A dire di no, ormai, rimangono solo i soliti estremisti di sinistra che erano ampiamente schierati contro il Mose di Venezia o il Tap in Puglia, infrastrutture oggi fondamentali per la sicurezza del nostro Paese.



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