Il Ponte sullo Stretto e quello sul Danubio, nuovo simbolo della sinistra in marcia a Budapest

I ponti dell’ipocrisia: la sinistra italiana sfila sul Danubio per i diritti ma in Italia lotta contro il Ponte sullo Stretto. E se gli promettessimo un bel Gay Pride subito dopo l'inaugurazione?
StrettoWeb

C’è un’immagine che resterà impressa nella memoria mediatica del Pride 2025 di Budapest: migliaia di manifestanti arcobaleno che attraversano l’Erzsébet Bridge, uno dei ponti più scenografici della capitale ungherese, con bandiere, cori e sorrisi resistenti, sfidando il divieto imposto dal premier Viktor Orbán. Ma non sono stati solo gli attivisti locali a marciare sul ponte. A spiccare, tra glitter, piume e slogan, c’erano tutti i leader della sinistra italiana, giunti come nuovi crociati dei diritti civili per “portare un segnale forte contro l’intolleranza”.

Peccato che, appena tornati in patria, questi stessi paladini dell’unione e della libertà si tramutano in araldi dell’ostruzionismo. Perché quando il ponte non è in Ungheria ma nello Stretto di Messina, e il motivo non è l’orgoglio ma lo sviluppo del Sud Italia, allora i ponti non uniscono più, ma “deturpano”, “costano troppo”, “non servono”.

gay pride budapest

Il ponte come simbolo: non solo acciaio e cemento

Sfilare su un ponte è un gesto potente, certo. E non a caso i manifestanti del Pride hanno scelto proprio l’Erzsébet Bridge – elegante, bianco, sospeso sul Danubio – per rappresentare la loro sfida. Perché i ponti sono archetipi. Sono simboli di unione tra sponde, superamento delle divisioni, passaggi da un mondo all’altro. Hanno ispirato poeti, architetti, rivoluzionari.

Costruire un ponte è, per definizione, un atto di pace e progresso. È il contrario del muro. È l’alternativa al conflitto. È un gesto umano e politico, che dice: “ci vogliamo connettere, non separare”.

E allora uno si chiede: che fine fa tutta questa retorica della connessione, della costruzione, dell’unione, quando il ponte da attraversare non è nella patria di Orbán, ma in casa nostra? Quando invece di portare bandiere arcobaleno, si porta lavoro, trasporti moderni, infrastrutture, export, turismo?

gay pride budapest

La sinistra con l’arco a Budapest, ma col piccone in Calabria

Alla sinistra italiana piace farsi vedere dove c’è l’opportunità di alzare la voce contro un nemico comodo, meglio ancora se vestito da autocrate europeo. Così eccoli, i nostri parlamentari in trasferta arcobaleno, sfilare con fierezza e piglio internazionale, immortalati in selfie da consegnare alla storia (e a Instagram), sullo sfondo fotogenico del ponte di Erzsébet.

Ma appena si ritorna a Roma, rieccoli: gli stessi volti, gli stessi nomi, a fare a pezzi il progetto del Ponte sullo Stretto, accusandolo di essere un’idea “vecchia”, “inutile”, “speculativa”. Alcuni hanno persino il coraggio di invocare la difesa del paesaggio, come se il Ponte sullo Stretto fosse una trivella nel Colosseo.

Ma non erano loro, a Budapest, a sbandierare il valore simbolico dei ponti? Forse i ponti vanno bene solo se servono alla narrativa dei diritti civili, ma diventano un problema se devono connettere una Sicilia isolata con il continente, portando progresso, lavoro, logistica moderna, crescita economica.

gay pride budapest

I diritti senza infrastrutture restano slogan

La sinistra si riempie la bocca di “diritti”, ma dimentica che non c’è diritto più fondamentale della possibilità di vivere in un territorio che non sia tagliato fuori dal resto del Paese. Il diritto alla mobilità, alla crescita, alla parità di accesso ai servizi, non vale meno del diritto a manifestare.

E allora cosa vuol dire davvero “essere progressisti”? Vuol dire solo sfilare con la bandiera giusta nel posto giusto? O vuol dire anche avere il coraggio di sostenere opere concrete, di investimento pubblico e visione strategica, che servano non alla propaganda ma alla realtà quotidiana dei cittadini?

Il ponte di Budapest è un simbolo? Certo che lo è. Ma anche il Ponte sullo Stretto è un simbolo. Simbolo del riscatto del Sud, della connessione fisica e simbolica tra due sponde troppo a lungo dimenticate. Di un’Italia che vuole tornare a investire su sé stessa, non solo a fotografarsi mentre lotta per i diritti altrui all’estero.

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I ponti veri si costruiscono a casa propria

In definitiva, la sinistra italiana oggi sembra più interessata a sfilare sui ponti altrui che a costruirne di propri. Vuole essere applaudita per il coraggio morale a migliaia di chilometri da casa, ma non sa più cosa significhi avere il coraggio politico di sostenere un’infrastruttura strategica quando tocca mettere la faccia su un cantiere italiano.

Perché il Pride di Budapest è importante, certo. Ma se la sinistra italiana continuerà a essere quella che va a sfilare sui ponti degli altri mentre abbatte i suoi, allora non sarà mai né orgoglio, né progresso, né futuro. Sarà solo un selfie con vista ipocrisia. Chissà se i nostri leader di sinistra potrebbero cambiare idea e sostenere il Ponte sullo Stretto se il governo Meloni inserisse nel programma un Gay Pride di tre chilometri tra Calabria e Sicilia subito dopo l’inaugurazione: sarebbe un bel gesto per unire la politica del Paese in un obiettivo comune.

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