Unire la Sicilia alla Tunisia con un’infrastruttura stabile potrebbe sembrare un’idea irrealizzabile. Eppure, per l’ingegnere e docente Enzo Siviero, rettore dell’Università E-campus ed esperto di fama mondiale sulla realizzazione di ponti, questa visione – ribattezzata TUNeIT – è molto più che un sogno. Si tratta di un progetto ingegneristicamente possibile, basato su tecnologie esistenti, e pensato per rivoluzionare i collegamenti tra Europa e Africa. Il tracciato ipotizzato collegherebbe Mazara del Vallo a Cap Bon, in Tunisia, attraversando circa 140 chilometri del Canale di Sicilia.
Il ponte non sarebbe un’unica struttura ininterrotta, ma una successione di cinque campate intervallate da isole artificiali multifunzionali, costruite con materiali di scavo e pensate per ospitare spazi turistici, di ricerca e di supporto tecnico. Il modello prevede l’alternanza di tratti a ponte e tratti in tunnel, così da adattarsi alla profondità e alle condizioni marine. Siviero lo descrive come un “ponte di civiltà”: non solo un’infrastruttura, ma un simbolo di cooperazione e connessione tra popoli.
La sfida, naturalmente, è imponente: l’investimento stimato è di 130 miliardi di euro. Ma, secondo il professore, la tecnologia è già matura e serve soltanto la volontà politica e istituzionale per dare forma a un’idea che – sulla scia di altri grandi collegamenti intercontinentali come il Tunnel della Manica o il ponte sul Bosforo – potrebbe trasformare il Mediterraneo.
Tecnologia e sostenibilità per una nuova geopolitica del Mediterraneo
Il progetto TUNeIT non è pensato solo per connettere due sponde del mare: ambisce a ridefinire le relazioni economiche, logistiche e culturali tra Europa e Africa. Siviero immagina il ponte come una piattaforma intercontinentale che ridurrebbe drasticamente i tempi di trasporto merci e passeggeri, rendendo la Sicilia il fulcro dei corridoi energetici, industriali e infrastrutturali tra Nord e Sud del Mediterraneo.
L’idea non è estranea alle istituzioni tecniche e accademiche. Organismi come il Consiglio Nazionale degli Ingegneri, la Réseau Méditerranéen des Écoles d’Ingénieurs (RMEI), l’EAMC e persino grandi realtà industriali come Terna hanno manifestato interesse per lo studio. L’opera si baserebbe su tecnologie già collaudate, a partire da ponti sospesi a più campate e tunnel immersi, fino all’uso di isole artificiali autosufficienti dal punto di vista energetico. Queste ultime, oltre a supportare l’opera dal punto di vista tecnico, diventerebbero luoghi abitati, produttivi e visitabili, in grado di ospitare anche attività scientifiche e turistiche.
Dal punto di vista ambientale, il progetto prevede soluzioni per ridurre l’impatto ecologico, garantire il passaggio della fauna marina e produrre energia rinnovabile. In quest’ottica, il ponte diventerebbe un laboratorio avanzato di transizione ecologica e integrazione infrastrutturale, con una funzione anche diplomatica: rilanciare il ruolo della Sicilia e dell’Italia nel dialogo euro-africano.
Tra sogno visionario e strategia per il futuro
Per molti, l’idea di un ponte Sicilia–Tunisia può apparire utopica, addirittura “folle”. Ma Siviero insiste: ogni grande infrastruttura sembrava impossibile prima di essere realizzata. Il ponte sullo Stretto di Messina – oggi tornato nel dibattito pubblico – era un’utopia simile decenni fa. TUNeIT sarebbe una sfida ancora più grande, ma capace di produrre occupazione, attrarre investimenti, valorizzare territori marginali e generare sviluppo economico in aree oggi periferiche.
La Sicilia, in questo scenario, diventerebbe molto più di una regione del Sud Italia: si trasformerebbe in piattaforma di scambio euro-mediterranea, ponte fisico e simbolico tra due continenti. In un tempo segnato da crisi globali, migrazioni e nuove competizioni geoeconomiche, opere come questa possono segnare un cambio di passo nella logica dei confini.
Il ponte TUNeIT, per ora, resta un’idea. Ma è un’idea che spinge a guardare oltre, a immaginare la Sicilia non come una periferia isolata, ma come una protagonista strategica nel cuore del Mediterraneo. Un nodo dove si incontrano ingegneria, diplomazia, cultura e visione. Ed è proprio questo, forse, il valore più concreto di un progetto che sembra impossibile: costringerci a pensare in grande.



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