Allenatore, sì, ma prima ancora molto di più. Responsabile, supervisore, protagonista, occhio lungo e attento, in tanti casi secondo padre, in tanti altri educatore prima che tecnico. Salvatore Laiacona è tutto questo, alla Reggina è stato tutto questo. Quasi 30 anni dietro le mura del Sant’Agata a vedere crescere piccoli ometti poi diventati uomini e poi diventati calciatori professionisti, alcuni anche ad alti livelli. Due di questi ultimi, Giovanni Di Lorenzo e Nicolas Viola, venerdì scorso si sono affrontati – entrambi capitani – in un Napoli-Cagliari passato alla storia per i colori azzurri. Il giorno dopo, sabato, Laiacona ha ricevuto il premio – insieme a tanti altri – del San Giorgio d’Oro, uno dei riconoscimenti più importanti che si possano ricevere in città. E, dopo la consegna, ha citato proprio loro due – Di Lorenzo e Viola – in un mix di grandi emozioni.
Emozioni che ha ribadito nel corso di una lunga intervista a StrettoWeb, partita proprio dal presente, cioè dal premio ricevuto. “Tanta emozione, ho ancora i brividi parlandone. E’ un premio prestigioso. Ne ho ricevuti diversi negli anni, ma questo mi ha emozionato particolarmente, anche per la motivazione. Nasce dal percorso fatto alla Reggina, al settore giovanile, iniziando da istruttore delle squadre Berretti fino ai frutti costruiti sul territorio, andando a scovare tanti ragazzini a partire dal 1993-1994. Questo grazie alla struttura, a Benedetto, a Foti, alla collaborazione di tante persone”.
E su Viola e Di Lorenzo: “ho avuto la fortuna di formarmi e di aver formato. Ho fatto l’esempio della sera prima del premio, con i due capitani di Napoli e Cagliari. Abbiamo formato due piccoli ometti, poi diventati uomini e calciatori professionisti. Erano i due capitani, inorgoglisce il pensiero che siano passati dal Sant’Agata. Ma ne vorrei citare tanti, da Missiroli a Perrotta, Cozza, Mesto, Salandria, Barillà, Dall’Oglio, Camilleri e Castiglia stessi”.
Su qualcuno di loro, a specifica domanda, Laiacona svela anche qualche aneddoto: “mi ricordo Perrotta quando andò alla Juve – ho ancora la Gazzetta dello Sport conservata – e il DS era Moggi, che si complimentò col presidente non per il Perrotta calciatore ma per il Perrotta uomo. Missiroli, poi, che da bambino era particolare, chiuso, schivo, non sorrideva, e non giocava neanche titolare negli Allievi. Gli mancava quella formazione caratteriale che ha poi appreso arrivando coi grandi. Alla fine, per poco non è arrivato in Nazionale”.
La formazione educativa del bambino prima ancora di quella calcistica: “a volte alcuni genitori portavano la borsa ai figli…”
A Laiacona piace evidenziare quanto sia importante la formazione educativa e caratteriale, prima che quella prettamente sportiva e calcistica. “Noi abituavamo le squadre piccole a fare delle esperienze fuori, di vita prima che sportive. Portavamo i bambini a fare delle cose insieme, a mangiare insieme, a dormire nello stesso letto. Li abituavamo a dei comportamenti come: rifarsi il letto, non usare il cellulare a tavola. Poi, da quella base, si lavorava sugli aspetti tecnici. In primis, però, erano i genitori a dover essere formati. Noi non ci siamo mai sostituiti ai genitori, ma bisognava formare l’ometto insieme a loro. Molte volte vedevo arrivare dei genitori che portavano la borsa al bambino. Mi dicevano: ‘è stanco’. ‘Ma no, non è stanco, viene qui a divertirsi, falla portare a lui’, gli dicevo. Ecco, bisogna cominciare da queste piccole cose”.
“Io, quando allenavo i piccoli, mi sedevo con loro, parlavo, gli facevo domande, gli chiedevo se sono andati a scuola. Qualche volta qualcuno non andava. I motivi? Gli faceva male la testa. E allora io capivo che qualcosa non andava, parlavo con la famiglia, spiegavo che se non si va a scuola perché fa male la testa non si va neanche all’allenamento. E non dimentico chi veniva all’allenamento per forza: magari il bambino voleva andare a Basket ma il papà pensava di avere il campione in casa e un po’ lo forzava”.
Il modello Atalanta e la Reggina di oggi
La Reggina di ieri come l’Atalanta di oggi? Per Laiacona, che all’Atalanta ci ha anche lavorato qualche anno, quella Reggina era anche oltre. “E non solo l’Atalanta, anche Milan, Juve, Inter”, afferma. “Quando arrivai a Zingonia, presentandomi agli altri, tutti ricordavano la Reggina di Foti e il Sant’Agata, oltre ai tanti calciatori formati e arrivati in prima squadra. C’è stato anche un momento in cui si è fatto un confronto con alcune squadre internazionali, il Real Madrid, squadre spagnole e tedesche, ed è emerso che la Reggina era tra quelle società che sfornavano più calciatori”.
Dal passato al presente. Dopo la grande era Foti, Laiacona è tornato alla Reggina con Tempestilli nel periodo Gallo e con Saladini, entrambe le esperienze concluse malissimo. “Per la crescita di un settore giovanile ci vuole un percorso di 3, 5, 10 anni, ma dopo tanti fallimenti è dura ricominciare. Io mi sono ritrovato all’interno, senza poter programmare. Avevo ricevuto la chiamata della Nazionale ma, quando mi ha chiamato Tempestilli, per amore ho scelto di nuovo la Reggina e ho rifiutato l’azzurro. Sa cosa significa preparare la squadra, parlare con le persone, metterci la faccia e poi veder svanire tutto?”.
In merito al presente, Laiacona fa un breve excursus del suo percorso e del suo rapporto con i vari allenatori: “Foti lo vado ancora a trovare, Gallo non era sempre a Reggio ma ha ristrutturato il Sant’Agata. Saladini all’inizio mi sembrava una persona che voleva fare di tutto e di più. Con Ballarino, invece, non ci ho mai parlato. Ha preso una società fallita, ci ha messo tanta buona volontà, lo ringrazio, ma per Reggio manca il professionismo. Ci vuole tanta liquidità”.
Di seguito l’intervista completa. A margine, Laiacona ci ha tenuto a rimarcare un concetto: “ho dimenticato di dirlo, ma vorrei che passasse anche un bel messaggio rispetto ai bambini con autismo e con disabilità. Non c’è ancora abbastanza supporto. Io ho allenato per anni i bambini e qualche volta facevo venire anche i bambini con autismo al Sant’Agata, per giocare con gli altri e farli sentire integrati e inclusi. Questo dovrebbe servire e infatti io dicevo spesso a loro: ‘il futuro dipende da voi”.