Verso una nuova stagione per la caccia: il disegno di legge chiarito punto per punto

Verso una nuova stagione per la caccia: il disegno di legge chiarito punto per punto dal Movimento Amici della Caccia di Reggio Calabria
StrettoWeb

“Un’importante riforma del settore venatorio si profila all’orizzonte con la proposta di modifica della legge 157/92, avanzata dal Ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida e sostenuta dalla maggioranza di governo. Secondo le anticipazioni riportate da diversi quotidiani nazionali, il nuovo disegno di legge introduce cambiamenti radicali, con l’obiettivo di ampliare i margini d’azione per il mondo venatorio, riducendo al contempo alcune restrizioni ambientali attualmente in vigore. Come prevedibile, la proposta ha suscitato forti reazioni da parte delle principali associazioni ambientaliste, che hanno lanciato l’allarme, denunciando profili di incostituzionalità e possibili violazioni delle direttive europee. Tuttavia, nonostante le critiche, il governo punta ad approvare il testo entro agosto, in tempo per l’apertura della prossima stagione venatoria. Il testo della riforma, articolato in 18 articoli, ridefinisce la caccia come una pratica utile alla tutela della biodiversità e dell’ecosistema, oltre che come attività sportivo-motoria di rilevanza culturale ed economica. Una reinterpretazione che mira a ricondurre la caccia tra le attività protette dall’articolo 9 della Costituzione, dove si tutelano il paesaggio e il patrimonio naturale della Nazione”. Così in una nota il Movimento Amici della Caccia di Reggio Calabria chiarisce il nuovo disegno di legge in undici punti.

“La riforma, inoltre, eliminerebbe i vincoli di specializzazione venatoria, semplificando l’accesso ai permessi anche per i cacciatori stranieri, e conferirebbe maggiori poteri alle guardie giurate, che potrebbero essere abilitate all’abbattimento di fauna.
Negli ultimi giorni, numerose notizie hanno sollevato preoccupazioni riguardo alla proposta di riforma della legge 157/92. Analizziamo punto per punto a riguardo le principali affermazioni circolate, confrontandole con la normativa attuale e le reali intenzioni della proposta.

  1. Ampliamento delle specie cacciabili
    La proposta prevede un aumento indiscriminato delle specie cacciabili. Attualmente, l’elenco delle specie cacciabili è stabilito dalla legge 157/92 e dalle direttive europee, che prevedono aggiornamenti basati su studi scientifici e monitoraggi. La proposta di riforma mira a una revisione dell’elenco, ma sempre nel rispetto delle normative europee e delle valutazioni scientifiche, senza alcuna liberalizzazione indiscriminata.
  2. Aumento delle specie utilizzabili come richiami vivi
    Si passerebbe da 7 a 47 specie utilizzabili come richiami vivi. La legge attuale consente l’uso di richiami vivi per determinate specie, con regolamentazioni precise. La proposta di riforma intende armonizzare la normativa italiana con le pratiche di altri paesi europei, sempre nel rispetto del benessere animale e delle direttive comunitarie. La normativa attuale inoltre stabilisce limiti per garantire il benessere animale e la tracciabilità. La proposta di riforma non intende eliminare tali limiti, ma piuttosto semplificare le procedure burocratiche per gli allevatori regolari, mantenendo controlli efficaci.
  3. Caccia su demani statali e regionali, incluse le spiagge
    La legge 157/92 già prevede la possibilità di caccia in determinate aree demaniali, con esclusione di zone protette e nel rispetto delle normative locali. La riforma mira a chiarire e uniformare le disposizioni, senza introdurre nuove aree cacciabili indiscriminatamente. Sarebbe improbabile e improponibile del resto pensare, a parere di chi scrive, che la caccia possa ad esempio essere esercitata in piena stagione estiva in mezzo ai bagnanti! La possibilità di esercitare la caccia su spiagge e demani marittimi in Calabria non rappresenta pertanto una novità introdotta dalla proposta di riforma della legge 157/92, ma è una realtà già esistente e regolamentata a livello regionale. I cacciatori infatti possono praticare la caccia agli Anatidi (come germani reali, alzavole, canapiglie) lungo la battigia del mare, utilizzando appostamenti temporanei e stampi, a condizione che vengano rispettate le distanze minime da abitazioni, ferrovie e altri appostamenti fissi, come previsto dalla normativa nazionale.
  4. Caccia al tramonto o durante la notte senza limiti
    Attualmente, la caccia è consentita da un’ora prima dell’alba fino al tramonto, con alcune eccezioni per la caccia di selezione. La proposta di riforma non prevede l’estensione generalizzata degli orari di caccia, ma potrebbe introdurre deroghe specifiche per determinate situazioni, sempre sotto stretto controllo. Inoltre sono previsti attualmente giorni di silenzio venatorio il martedì e il venerdì e la possibilità di esercitare la caccia massimo 3 giorni a settimana a scelta del cacciatore
  5. Estensione della stagione venatoria irregolare
    La stagione venatoria è attualmente regolata a livello nazionale e regionale, con periodi stabiliti per ciascuna specie. La proposta di riforma intende armonizzare e, se necessario, adeguare i calendari venatori, basandosi su dati scientifici e nel rispetto delle direttive europee. La materia è regolata dalla Direttiva 2009/147/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 30 novembre 2009, relativa alla conservazione degli uccelli selvatici (nota anche come “Direttiva Uccelli”). Essa stabilisce, all’articolo 7, che: “Le specie cacciabili non possono essere oggetto di attività venatoria durante il periodo della riproduzione e le migrazioni pre-nuziali.” L’obiettivo è quindi tutelare le specie nel momento in cui sono più vulnerabili, ma non vietare la caccia nel mese di febbraio in senso assoluto. La chiave è scientifica, non cronologica: si tratta di evitare la caccia nei periodi biologici sensibili, che possono variare in base alla specie e alla zona geografica. Già oggi in molte regioni italiane — tra cui la Calabria — è consentita la caccia nel mese di febbraio per determinate specie attualmente per soli 10 giorni grazie a deroghe fondate su studi ISPRA e su piani regionali validati. Ad esempio, si caccia in forma di prelievo selettivo o per la gestione del cinghiale, spesso fonte di gravi danni agricoli e incidenti stradali. L’eventuale estensione dell’attività venatoria a tutto febbraio non significherebbe affatto un “via libera” indiscriminato, ma dovrebbe avvenire nel rispetto della Direttiva europea e previa valutazione scientifica della compatibilità ambientale, come già avviene ora per molte altre date e specie. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nelle proprie sentenze (es. causa C-435/92), ha sottolineato che non esistono date fisse identiche per tutti gli Stati membri, ma che la caccia può essere autorizzata fino al momento in cui le specie non entrano nel periodo di migrazione prenuziale o riproduzione. È dunque legittimo, in linea di principio, protrarre la caccia fino a febbraio, a patto che vi siano dati ornitologici aggiornati a supporto. L’estensione della stagione venatoria a febbraio, auspicata da molti cacciatori, non è contraria alla direttiva europea, purché sia rispettato il principio fondamentale della non interferenza con le fasi biologiche critiche delle specie. In questo senso, parlare di “caccia libera in piena migrazione” è una semplificazione allarmistica e fuorviante. Una riforma ben strutturata può conciliare esigenze venatorie e tutela ambientale, nel rispetto delle regole europee e scientifiche
  6. Deregolamentazione della caccia su fondi privati
    La caccia su fondi privati è già regolamentata dalla legge 157/92 e dall’articolo 842 codice civile, che prevede l’autorizzazione dei proprietari e il rispetto delle normative. La riforma potrebbe introdurre semplificazioni procedurali, ma non intende eliminare le tutele esistenti per i proprietari terrieri. L’accesso ai fondi privati per l’esercizio venatorio è già consentito, purché il cacciatore sia in regola con le autorizzazioni e il fondo non sia recintato legalmente o coltivato in modo tale da poterne subire danno. La riforma proposta non modifica questo principio già sancito dalla normativa vigente. Non introduce quindi né “invasioni barbariche” né diritti aggiuntivi per i cacciatori rispetto alla situazione attuale. È inoltre sempre possibile per i proprietari escludere il proprio fondo dall’attività venatoria mediante richiesta di inserimento tra le zone di divieto di caccia o attraverso l’apposizione di recinzioni a norma di legge.
  7. Autorizzazione della braccata su terreni innevati
    La legge attuale vieta la caccia su terreni innevati per proteggere la fauna. La proposta di riforma non prevede la rimozione di questo divieto, ma potrebbe considerare deroghe in situazioni eccezionali, sempre sotto controllo delle autorità competenti
  8. Tra le novità introdotte dalla proposta di riforma della legge 157/92, una delle più discusse riguarda la previsione che le Regioni debbano verificare entro 12 mesi se le aree protette superano il 30% del territorio regionale e, in tal caso, procedere alla loro riduzione. In caso di inadempienza, è previsto l’intervento del Ministro dell’Agricoltura con poteri sostitutivi . L’articolo 10, comma 3 della legge 157/92, prevede che “Il territorio destinato alla protezione della fauna selvatica e alla interdizione dell’attività venatoria deve estendersi almeno al 20% e non oltre il 30% del territorio agro-silvo-pastorale di ciascuna regione”. Ciò significa che il limite massimo del 30% non si riferisce all’intero territorio regionale, né tantomeno a tutte le aree protette (come parchi nazionali, riserve naturali o aree Natura 2000), bensì esclusivamente alla porzione di territorio a uso agro-silvo-pastorale, ovvero quella parte produttiva e rurale su cui effettivamente può esercitarsi l’attività venatoria. Quindi, parlare genericamente di “riduzione delle aree protette” è fuorviante. Il limite del 30% riguarda soltanto le aree in cui, potenzialmente, si potrebbe cacciare, e che invece vengono escluse da tale attività per scopi di protezione faunistica. Le aree escluse dalla caccia ai sensi della 157/92 includono parchi nazionali, regionali, riserve naturali, zone urbane, oasi di protezione, e altre aree vietate alla caccia per legge. La proposta non modifica lo status di queste zone, né introduce strumenti per ridurne l’estensione. Si limita a imporre un censimento e un eventuale riequilibrio solo per le aree vietate alla caccia che eccedono la soglia del 30% del territorio agro-silvo-pastorale, se ritenuto necessario. La previsione del potere sostitutivo al Ministro dell’Agricoltura qualora le Regioni non procedano alla verifica o all’adeguamento è certamente una novità, ma va contestualizzata: si tratta di un meccanismo di controllo sul rispetto della legge 157/92, già esistente, che ora verrebbe rafforzato per evitare situazioni di stallo amministrativo. Non implica automaticamente la cancellazione di aree protette di valore naturalistico, né nega le competenze regionali. Si tratta, in sostanza, di un’applicazione più stringente del quadro normativo esistente, che mira a garantire l’equilibrio tra aree protette e aree vocate all’attività venatoria, nel rispetto di criteri oggettivi e verificabili. Parlare di “taglio delle aree protette” in senso assoluto, dunque, è tecnicamente scorretto.
  9. Le gare di caccia con i cani e la caccia nei territori privati sarebbero completamente deregolamentate
    L’attività venatoria è definita in modo chiaro all’art. 12 della legge 157/92, che stabilisce: “L’attività venatoria è l’abbattimento o la cattura di fauna selvatica appartenente a specie cacciabili durante la stagione venatoria, secondo le modalità previste dalla legge e dai calendari regionali.” Le gare cinofile e le prove di lavoro su fauna selvatica sono già oggi autorizzabili anche fuori stagione, ma solo a scopo addestrativo o selettivo, e mai in forma libera: richiedono autorizzazioni regionali, si svolgono in aree dedicate (spesso aziende faunistico-venatorie o zone cinofile), e non possono danneggiare la fauna né l’habitat. L’art. 10, comma 8, prevede che tali attività siano soggette a regolamentazione regionale, proprio per evitare abusi. Secondo i testi preliminari circolati, la riforma tenderebbe a non considerare più “esercizio venatorio” le attività cinofile con abbattimento svolte in aziende faunistico-venatorie o aree a gestione privata, regolarmente autorizzate, ma solo entro limiti e condizioni stabilite dalle Regioni. Questo cambiamento non autorizza affatto la caccia notturna o indiscriminata, né equivale a una deregolamentazione totale. Si tratta di una semplificazione giuridica volta a snellire l’organizzazione di eventi zootecnici e prove pratiche con cani da caccia, sempre in contesti controllati e fuori dal patrimonio faunistico naturale. Inoltre, nessuna norma consente abbattimenti notturni non autorizzati, poiché la caccia notturna è vietata per legge, salvo specifiche deroghe esclusivamente per il controllo faunistico, ad esempio nel caso del cinghiale. A riguardo delle aziende faunistico-venatorie. (AFV) e agrituristico-venatorie (AAV) sono previste e disciplinate dall’art. 16 della legge 157/92, e operate sotto concessione regionale. Non sono zone “libere” né zone private incontrollate: sono soggette a piani di gestione faunistica, controlli veterinari, obbligo di registrazione dei capi immessi e abbattuti, e calendari prestabiliti. La riforma punta a semplificare alcune autorizzazioni, ma non elimina i controlli né la necessità di rispettare la sostenibilità e il benessere animale. È falso, quindi, che queste zone diventino “fuori legge” o senza regole. La riforma punta a distinguere tra attività venatoria classica e attività zootecnica/formativa in contesti controllati, senza aprire varchi alla caccia indiscriminata. Le aziende faunistico-venatorie resteranno vincolate a piani di gestione e autorizzazioni regionali. Parlare di “far west venatorio” è una semplificazione che non trova fondamento normativo né pratico.
  10. Sanzioni per chi protesta contro l’abbattimento degli animali: repressione o rispetto delle regole?
    Tra le critiche più gravi mosse alla proposta di riforma della legge 157/92 vi è quella secondo cui essa introdurrebbe sanzioni penali o amministrative per gli attivisti animalisti o ambientalisti che si oppongono agli abbattimenti della fauna, persino attraverso semplici proteste. La normativa vigente già oggi tutela l’attività venatoria autorizzata e, in generale, qualunque attività pubblica o privata svolta in maniera legittima. Nessuna manifestazione può impedire o ostacolare atti autorizzati dalla pubblica amministrazione senza incorrere in responsabilità civili o penali. In particolare, l’articolo 340 del Codice Penale punisce chi provoca l’interruzione di un servizio pubblico o di pubblica necessità. Analogamente, ostacolare materialmente o con atti violenti un piano di controllo della fauna (es. contenimento del cinghiale) o un’attività venatoria autorizzata può configurare reati come l’interruzione di pubblico servizio, l’invasione di fondo altrui (art. 633 c.p.), o addirittura il danneggiamento (art. 635 c.p.). Tuttavia, manifestare pacificamente il proprio dissenso è pienamente legittimo e tutelato dalla Costituzione Italiana (art. 21). Le bozze della riforma parlano di un possibile inasprimento delle sanzioni amministrative per chi ostacola operazioni di controllo faunistico o attività venatorie autorizzate, non per chi protesta pacificamente. L’obiettivo sarebbe evitare interferenze che mettano a rischio la sicurezza pubblica o il benessere degli operatori, come accaduto in alcuni episodi documentati, in cui gruppi organizzati hanno fisicamente impedito l’accesso a squadre di contenimento o interrotto operazioni sanitarie. Non si tratta quindi di criminalizzare l’opinione o la protesta, ma di distinguere tra legittimo dissenso e condotte che impediscono l’applicazione di misure di legge. Parlare di repressione delle opinioni è quindi un allarme infondato, che confonde la libertà di espressione (tutelata) con il diritto di impedire operazioni pubbliche (che non esiste). Sul punto infine è opportuno sottolineare per dovere di cronaca e verità che soprattutto nel Centro Nord Italia, presunti movimenti animalisti estremisti sono dediti a diffondere immagini e video tramite social e forum delle proprie malefatte a danno dei cacciatori, consapevoli del fatto che un cacciatore non reagirebbe mai violentemente contro di essi, mentre costoro sono intenti a ingiurie, pedinamenti, molestie e ogni genere di condotta violenta verbale e fisica contro gente rea di compiere un’attività a detta loro da assassini e contro legge ed etica. Sanzioni specifiche di natura penale contro questi delinquenti eviterebbero disturbo in generale all’attività venatoria legittima al di là dell’attività di controllo a determinate specie.
  11. Una delle accuse più frequenti è che la riforma “riaprirebbe” i roccoli (impianti di cattura con reti per richiami vivi) oggi vietati, riportando indietro la tutela della fauna. Ma la realtà è molto diversa. La legge 157/92, all’art. 4, consente la cattura di uccelli a fini di richiamo solo con autorizzazione regionale e su parere favorevole dell’ISPRA, in quantità limitate e per esigenze documentate (spesso zootecniche o di tradizione venatoria, ma mai di massa). Negli ultimi anni, le autorizzazioni ai roccoli sono state quasi totalmente sospese per effetto di numerose sentenze, tra cui quella del Consiglio di Stato (n. 6155/2019) e della Corte di Giustizia UE, che ha richiamato l’Italia al rispetto della Direttiva Uccelli 2009/147/CE. La riforma non ripristina automaticamente i roccoli, ma si limita a prevedere che le Regioni possano riproporre piani di cattura (es. di tordi o allodole) previa autorizzazione scientifica, nei limiti della normativa UE e nazionale. Nessun “ritorno alla cattura selvaggia”, quindi: si parla di eventuali deroghe controllate, motivate, e soggette a monitoraggio. Altro punto molto contestato è la presunta apertura alla possibilità per le Regioni di autorizzare un numero illimitato di appostamenti fissi, rendendo incontrollabile l’impatto venatorio. Ma anche qui la realtà normativa va chiarita: l’art. 12, comma 5 della legge 157/92, oggi pone limiti agli appostamenti fissi, richiedendo che siano autorizzati su richiesta, con postazione numerata e nel rispetto della pianificazione faunistico-venatoria regionale. Le Regioni già oggi hanno margini per stabilire il numero massimo di appostamenti autorizzabili a livello provinciale o distrettuale. La proposta di riforma eliminerebbe il riferimento a un limite numerico nazionale (oggi fissato a 1 per 100 ettari per le strutture mobili e 1 per 250 ettari per quelle fisse), affidando alle Regioni il compito di fissare questi limiti in modo autonomo. Non si tratta di una deregulation, ma di una devoluzione del potere decisionale: saranno i piani faunistici regionali, redatti sulla base di dati ambientali e ornitologici, a fissare i limiti. Ogni abuso potrà essere impugnato in sede giurisdizionale. Quindi, nessun “caos venatorio” ma un modello più adattabile alle specificità territoriali. Un punto particolarmente delicato è quello che riguarda i valichi montani, considerati fondamentali per la migrazione dell’avifauna. I detrattori accusano la riforma di voler neutralizzare una sentenza del TAR Lombardia, che ha vietato la caccia su tutti i 475 valichi montani della regione, anche se non in aree protette. La riforma introduce in effetti una novità normativa, stabilendo che: “Il divieto di caccia nei valichi montani si applica solo se questi ricadono all’interno di aree protette istituite prima del 1° gennaio 2025.” Ma questa disposizione non annulla i principi della legge 157/92. Infatti: L’art. 21, comma 1, lettera u) della legge 157/92 già vieta la caccia nei valichi montani individuati come strategici per la migrazione, e rinvia alle Regioni la delimitazione cartografica degli stessi. La norma della riforma non cancella il divieto, ma ne specifica l’ambito di applicazione, legandolo all’esistenza di una tutela ambientale formale (area protetta). Questo passaggio nasce proprio per rispondere alla confusione normativa generata da interpretazioni giurisprudenziali come quella del TAR Lombardia, che aveva esteso il divieto anche in assenza di specifica tutela naturalistica. Non si tratta quindi di una “sanatoria della caccia nei valichi”, ma di una definizione più chiara e applicabile che consente una tutela effettiva laddove c’è una valenza ecologica certificata. La proposta di riforma non cancella i divieti esistenti ma cerca di riordinare e semplificare ambiti normativi già oggi complessi e spesso fonte di contenzioso. Nessun ritorno alla cattura selvaggia, nessun via libera illimitato agli appostamenti, nessun assalto ai valichi migratori: si tratta di modulazioni normative che restano subordinate alla scienza, alla pianificazione e ai controlli regionali.

È fondamentale basare il dibattito sulla riforma della legge 157/92 su informazioni accurate e verificabili. Molte delle affermazioni circolate recentemente sono frutto di interpretazioni errate o di disinformazione diffuse da personaggi pubblici e testate giornalistiche di parte evidentemente per nulla informati sulla materia.

Invitiamo pertanto tutti i lettori a consultare le fonti ufficiali e a partecipare a un confronto costruttivo, nel rispetto della legge e della tutela dell’ambiente. Invitiamo inoltre le associazioni venatorie ad avviare una campagna di informazione rivolta a tutti i cittadini italiani per smentire le fake news ricorrenti sulla caccia e sul disegno di legge a tutela della nostra passione e a tutela del diritto di cronaca e a una corretta divulgazione della materia. Come Movimento Amici della Caccia di Reggio Calabria, accogliamo con favore l’apertura di un dialogo politico su una riforma che riconosce finalmente il ruolo fondamentale dei cacciatori nella gestione del territorio e della fauna.

Se approvata, questa legge rappresenterebbe un traguardo storico per il mondo venatorio italiano, troppo spesso penalizzato da normative obsolete e scollegate dalla realtà.
Troppo spesso infatti la caccia viene ridotta, nel dibattito pubblico, a una pratica anacronistica o dannosa. Eppure, se correttamente regolamentata e svolta nel rispetto delle normative ambientali, essa rappresenta uno strumento fondamentale di gestione faunistica, di tutela della biodiversità e di equilibrio degli ecosistemi.

La legge 157/92, da oltre trent’anni, riconosce il cacciatore come custode attivo del territorio agro-silvo-pastorale, impegnato nel contenimento delle specie invasive, nella prevenzione dei danni agricoli e dei reati ambientali nella salvaguardia della salute pubblica attraverso piani di controllo faunistico. Tutto questo non a scapito della natura, ma in sinergia con la scienza e la sostenibilità.
Inoltre, come correttamente esposto di recente, la caccia è anche una disciplina sportivomotoria, che coinvolge migliaia di cittadini in attività all’aria aperta, nel rispetto delle regole, della fauna e del paesaggio. Ha una forte valenza culturale, soprattutto nelle aree rurali e montane dove costituisce un patrimonio identitario tramandato da generazioni, e produce ricadute economiche significative per le filiere locali, dalla ristorazione al turismo, fino all’artigianato e al settore armiero. Funge inoltre da veicolo propositivo e attivo per l’allevamento cinotecnico a livello amatoriale e professionale oltre che per l’attività sportive agonistiche e amatoriali correlate al comparto venatorio.

Difendere una caccia etica e sostenibile non significa voltare le spalle alla conservazione dunque, ma renderla parte attiva della protezione dell’ambiente, nel quadro delle normative europee e nazionali. La proposta di aggiornare la legge 157/92 non è un pericolo, ma un’occasione per razionalizzare, modernizzare e valorizzare questa attività, ponendo fine a confusioni, contraddizioni e strumentalizzazioni oltre a rendere chiara e aggiornata all’attuale dottrina e giurisprudenza in materia una normativa anacronistica nei contenuti formali, punto per punto.

Restiamo infine in attesa di conoscere i testi ufficiali e i dettagli applicativi, auspicando che le novità annunciate possano trovare un equilibrio tra libertà venatoria e rispetto per l’ambiente e augurandoci che questo dettagliato articolo sia significativo per tutti nell’esporre la realtà dei fatti a tutela dell’ Ars Venandi”.

Condividi