Anche noi, e lo diciamo a chiare lettere, siamo dei sinceri assertori della pace e crediamo che la guerra, anche a vincerla, sia comunque una immane tragedia. Ma il problema della pace è che a volerla bisogna essere in due altrimenti si smette di essere uomini di alti principi e ci si ritrova ad essere solo persone che le buscano. Di gente di alti principi a Roma qualche giorno fa se ne è radunata tantissima a ribadire la sua ferma opposizione a ogni forma di guerra e di soluzione violenta delle controversie, e tutta una schiera di intellettuali si sono alternati a parlare a quella folla immane. Noi delle folle ci siamo sempre istintivamente fidati poco, soprattutto in Italia, dove le folle sono sempre rumorose e volubili, e anche di scarsa memoria. Il tempo, certo, fa maturare nuove posizioni, ma noi che siamo solo dei modesti studiosi di storia temiamo che a far cambiare le idee più che i principi siano le convenienze del momento. Lì a Roma c’era un po’ di tutto, ma la magna pars era rappresentata da una certa sinistra che queste battaglie le ha sempre combattute, ma spesso sulla pelle degli altri.
Intellettuali
Con tutto il rispetto per gli intellettuali che hanno arringato la folla all’ombra di Gino Strada, potremmo citare quel movimento antiatlantista che nell’immediato dopoguerra lanciò “la campagna mondiale per la pace” contro la NATO e a cui erano legati intellettuali di ben più alta levatura di Marco Travaglio, Tomaso Montanari, Giuseppe Conte e via dicendo. Sotto l’egida di Pietro Nenni, figura riverita del socialismo mondiale che appena trent’anni prima assieme a Mussolini era a capo della minoranza chiassosa degli interventisti e scriveva articoli infuocati sul Giornale d’Italia dicendo che “il pacifismo è per i castrati” ma che adesso era tra i veneratori di Stalin (e che inveiva contro il piano Marshall) c’era, tra coloro che si definivano i “partigiani della pace”, il Gotha della cultura mondiale.
Bertrand Russell
Potremmo ricordare Bertrand Russell che qualche anno prima con una lettera pubblica credeva di impedire l’avanzata di Hitler sciogliendo tutta una strategia militare con una simpatica discussione, invitandolo a cena “e servendogli il vino migliore” (immaginiamo, se mai avrà perso tempo a leggerla, le risate dello statista tedesco); Bertold Brecht che scriveva splendidi inviti alla pace fino a che la guerra non se la vide addosso e allora, prudentemente, ritenne più utile darsela a gambe, ma non nella tanto decantata Russia sovietica, ma nella capitalistica e soleggiata costa californiana, e i diritti d’autore li voleva pagati in dollari sonanti perché i rubli non davano nessuna garanzia; e Arthur Miller e Jean Paul Sartre che ancora dopo avrebbero fatto così tanta tendenza quando aizzavano i giovani a protestare contro la guerra in Vietnam insieme a Jane Fonda e da noi Oriana Fallaci (salvo ricredersi pubblicamente, le ultime due, sulla pelle altrui quando poi, come s’era previsto, con un Vietnam unito la dittatura rossa avanzò e l’intera Indocina si trasformò in un grumo di sanguinosi dispotismi con profughi che tentavano di fuggire disperati da tutte le parti).
Insomma gli intellettuali, e potremmo citarne di altissimi ancora tanti, sono così: vivono di aeree questioni e si infilano sempre dove c’è qualche acclamazione da cogliere e magari anche da guadagnarci qualcosa, e se poi le cose vanno male si limitano a dire, quando hanno il coraggio di farlo, “scusate, forse ho sbagliato”, e poco importa se a pagare sono gli altri. Una volta incontrai Daniel Pennac, uno dei più strenui sostenitori della dottrina Mitterand che aveva accalcato a Parigi il vertice del terrorismo europeo. Gli chiesi come avesse potuto ritenere Cesare Battisti un grande rivoluzionario invece che solo uno squallido delinquente. “Forse mi sono sbagliato – rispose infastidito – Ma adesso se non le dispiace parliamo d’altro”.
Gli intellettuali giocano a fare i pacifisti
Adesso questi intellettuali giocano a fare i pacifisti, e i motivi non mancano certamente. I motivi per difendere la pace ci sono sempre, e potrebbero occupare non volumi ma intere biblioteche, e sono dei più alti e di quelli che meritano una più strenua difesa. Sennonché, appunto, di fronte ai nobili principi quando la guerra te la trovi davanti tutto poi si dissolve. Noi dubitiamo alquanto che il detto evangelico del porgere l’altra guancia possa avere sempre successo, perché non sempre dall’altro lato si troverà chi si sentirà impressionato dall’altezza del gesto, ma più spesso si troverà solo gente che ci vedrà un invito a colpire due volte. E i grandi pacifisti consegnati alla memoria storica sono solo quei pochi, appunto, che si sono trovati di fronte un avversario che giocava pulito. Gandhi poté fare il pacifista, disse Paul Johnson, solo perché di fronte si era trovato l’impero inglese che era una istituzione di alto sentire, e lì rischiava al massimo un processo altisonante e qualche mese di carcere. Ma se si fosse messo a condurre la sua battaglia tra le dorsali siciliane o nella Russia stalinista non sarebbe durato neanche un mese.
Tra le scanalature degli acrocori palermitani ci sono corpi di persone molto più coraggiose di Gandhi o di Martin Luther King di cui si ignora persino il nome e che quando vengono ritrovati si prova a identificarli dai vestiti. E neanche tra le celle della Lubjanka si preoccupavano di farli, i processi. Di quelle migliaia che sono passati tra quelle stanze il massimo che ci si poteva aspettare per indicare una presenza prima di scomparire è qualche scritta su un muro. Ecco perché, a volte, poterseli permette gli alti principi, o una discussione, è già un lusso. È l’avversario che devi saperti scegliere, ma non sempre ti capita quello buono. E qui in Occidente siamo stati molto fortunati, ma anche molto miopi. Tendiamo a vedere il mondo come una nostra proiezione. Durante una trasmissione, a chi gli diceva che la pace è costosa Tomaso Montanari rispose, abilmente, che anche la guerra è costosa. Ma credo che la domanda fosse mal posta. La pace, sotto molti aspetti, è addirittura gratuita. Dipende dalla pace, naturalmente.
La libertà è costosa
È la libertà che è costosa. Tacito nel De Agricola faceva dire a un generale che si doveva difendere dai romani: “Ubi desertum faciunt, pacem appellant”. Non vogliamo la pace che consiste nel silenzio. È per questo che siamo disposti a combattere. Quella pace, insomma, che consiste nel dare a chi ti rapina quello che vuole, e a chinare il capo, ebbene quella costa davvero poco. È la pace di chi vuole essere libero che è costosa. Che è anche, paradossalmente, la pace di chi vuole continuare ad andare a Roma e continuare a dire che le armi fanno schifo, e il governo peggio ancora, e il Manifesto di Ventotene è un capolavoro e via dicendo. È quella che avrebbe un costo, e naturalmente si può anche dire che non vale il prezzo di una guerra, e quindi che tutto va bene così e quel che sarà sarà. Noi, ripetiamo, aborriamo la guerra e amiamo la pace, ma non ogni tipo di pace. Perché ci sono delle paci che non ci piacciono e siamo convinti che è vergognoso anche pensare di barattarle con la libertà. Perché da questi scambi non si torna indietro. Poi ci sarà solo chi ci dirà: e non vivi bene? Basta solo obbedire, e nessuno ti farà niente. Fino a che obbedisci, naturalmente.



Vuoi ricevere le notifiche sulle nostre notizie più importanti?