Il reggino che è tornato a Reggio Calabria dopo oltre 50 anni dalla sua stessa morte è Nicola Giunta, poeta ed erudito nato alla fine dell’800 e vissuto fino al 1968, che di Reggio ed i Reggini ne aveva celebrato i vizi e le stranezze. Lo ha fatto resuscitare ieri sera Arturo Cafarelli, presso l’Auditorium Zanotti Bianco di Reggio Calabria, immaginando che dal Paradiso fosse giunto proprio il letterato del ‘900, per concessione di Santi ed Angeli, desiderosi di apprendere nuovi aneddoti su Reggio ed i Reggini, avendo trovato esilaranti i fatti che accadevano nella nostra città, giusto appunto giunti fin nel Cielo.
L’Autore accompagna in giro per città un Giunta incredulo per come sia cambiata la città negli ultimi decenni, dalle basole sconnesse del Corso, al Lido che sembra abbia subito un bombardamento, fino alla fine ingloriosa di due dei teatri della città, trasformati uno in un negozio di abbigliamento e l’altro in un fast food. Per non parlare delle piste ciclabili, della cui utilità il Poeta, egregiamente interpretato da Pasquale Borruto, non riusciva a comprenderne l’utilità, come peraltro non l’ha ancora capita nessuno.
Cafarelli, poeta ed autore di tante commedie e che non ha bisogno di presentazioni, nell’accompagnare poi il letterato nel suo giro per la città, inseriva puntualmente, passo dopo passo, una delle sue poesie, descrivendo con l’ironia che lo contraddistingue, ogni tappa del viaggio di Giunta. L’evento, intitolato “le ceneri di Giunta” è stato patrocinato dall’Accademia del tempo libero e dal Rhegium Juliii che, nelle persone di Celeste Giovannini e Pino Bova, lo hanno presentato al numeroso pubblico.
L’organizzazione dello spettacolo è stata curata da Salvatore Marrari, con l’accompagnamento musicale della band “il Trìolo”- al riguardo, una nota particolare va alla cantante Memè Barillà ed al percussionista Giancarlo Catanese. Per comprendere meglio di cosa si stia parlando preponiamo la lettura di una celebre poesia di Nicola Giunta, di seguito riportata, dedicata appunto alla regginità e che, senza dubbio, induce ad una riflessione:
“Chistu è u paisi aundi si perdi tuttu,
aundi i fissa sunnu megghiu i tia,
u paisi i m’incrisciu e mi ‘ndi futtu
ed ogni cosa esti fissaria”.
Traduzione (per i non reggini)
“Questo è il paese dove tutto si perde,
dove i fessi sono meglio di te,
il paese del “mi annoio” e “me ne frego”
ed ogni cosa è fesseria”.











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