Hanno tanti elementi in comune, Gianluca Zambrotta e Antonio Cabrini, oltre al fatto di essere due ex calciatori della Juventus. Avevano il compito, e lo sapevano fare bene, di arare la fascia in lungo e in largo, difendendo e attaccando. Ora dietro ad aiutare la retroguardia, ora subito davanti a supportare la manovra offensiva. Ma l’elemento comune più importante, più bello, probabilmente il punto più alto delle loro carriere è un altro: la vittoria del Mondiale di Calcio. Cabrini ha vinto nel 1982, Zambrotta nel 2006. Hanno alzato la Coppa del Mondo da protagonisti.
Oggi i due sono ospiti a Reggio Calabria, presso l’Aula “Quistelli” dell’Università Mediterranea, per il terzo ciclo di appuntamenti legati alla mostra “Il Calcio è Arte”. Il saluto, come sempre, è a cura del Sindaco Falcomatà, che accoglie i due campioni e parla – restando in tema di Arte – della prossima finale per la Capitale della Cultura, di cui Reggio è candidata. Il primo cittadino consegna le consuete targhe ai due campioni e poi lascia la parola al Vice Sindaco Metropolitano Carmelo Versace, il quale consegna un’altra targa al giornalista Roberto Gotta, moderatore dell’evento odierno. L’ultimo intervento, prima dell’inizio del convegno, è del Rettore Zimbalatti; anche lui consegna un ricordo agli ospiti, una maglia dell’Ateneo.
I cambiamenti tra il calcio di ieri e quello di oggi
Prende la parola Cabrini: “il calcio di una volta con quello attuale sono due sport completamente diversi. Non solo a livello di preparazione, allenamenti, studio, ma anche a livello societario. Il calcio oggi è business, mentre una volta era limitato. Ai primi anni ’80, poi, c’è stato l’arrivo dei primi stranieri, molto forti. Ora ne ricordo pochi per ogni squadre, due o tre, perché faccio fatica a riconoscerli tutti. La regola era di due stranieri per squadra in Italia, negli anni ’80, e per questo arrivavano i migliori. C’erano Falcao, Platini, Rumenigge, Junior, Zico. Ora sono 8 anni che l’Italia non entra più ai Mondiali, è un grossissimo problema. Ci sono bambini di 10-11 anni che non hanno mai visto l’Italia a un Mondiale”.
Per Zambrotta “forse è sbagliato paragonare il calcio di ieri e quello di oggi. Nella mia epoca il calcio è evoluto rispetto a quello in cui giocava lui, anche nel recupero degli infortuni, nell’arrivo dei nutrizionisti. Poi stavano arrivando i social. I cambiamenti più evidenti sono per l’utilizzo di nuove tecnologie. Nel 2006, quando ho vinto il Mondiale, i nostri social erano i giornalisti, la stampa, la tv, ma i social stavano per nascere. Oggi è completamente diverso, un giocatore non può gestire solo lui la parte social, deve avere una persona che segue e sa come fare comunicazione, altrimenti si rischia di avere problemi con tifosi e stampa stessa. Poi lo sappiamo: è pieno di leoni da tastiera che cercano polemiche per aizzare il giocatore. E’ difficile, ma è anche vero che oggi i giocatori hanno molte più opportunità a livello di business”.
Cabrini rivela: “la mia non era la Comunicazione di oggi, non c’erano i telefoni. Era normale incontrare i tifosi dopo l’allenamento, la gente ci fermava per gli autografi, era un contatto molto umano. Poi sono arrivati gli sponsor. Io sono stato il primo calciatore in tv a fare pubblicità in televisione. Era iniziato un nuovo viaggio parallelo a quello del calcio, legato a pubblicità e sponsor, e poi il telefono ha cambiato tutto”.
La vittoria dei Mondiali
Zambrotta e i ricordi nel 2006: “noi venivamo da Calciopoli, tanti di noi non sapevano dove poter andare a giocare dopo. E’ stato bravo Marcello Lippi a cercare di tenere unito il gruppo, anche perché aveva – come quelli del 1982 – un gruppo straordinario di uomini e giocatori. Abbiamo capito di poter vincere a mano a mano che andavamo avanti. La partita spartiacque è stata sicuramente quella contro l’Australia, con il rigore su fallo di Grosso nel finale, realizzato da Totti. Eravamo in 10 e lì capimmo che quel gruppo poteva arrivare fino in fondo. Solo dopo ci si rende conto della vittoria, quando tornammo a Roma da Berlino c’era praticamente tutta Italia da lì fino al Quirinale. Anche oggi c’è gente che ci ringrazia per il 2006”.
Cabrini e il 1982: “in quegli anni c’era un altro problema, noi partiamo per il Mondiale e siamo nel periodo delle Brigate Rosse, che ogni giorno ammazzavano una persona. A livello di squadra le scelte dell’allenatore – Bearzot – non erano accettate da tifosi e stampa italiana, molto violenta nei nostri confronti. Paolo Rossi rientrava da una squalifica per calcioscommesse di un anno, era rientrato da un mese. Tutte queste situazioni hanno creato imbarazzo e difficoltà nel rapporto con la stampa. Tant’è vero che iniziamo non giocando bene, ma anzi facendo fatica, ma riusciamo comunque a qualificarci al secondo girone, quello più terribile, con Argentina e Brasile. In quel momento un po’ tutti abbiamo pensato: ‘prepariamo le valigie e torniamo a casa’. Invece è scoppiato qualcosa di importante in noi, eravamo consapevoli di essere una squadra di buon livello, ma anche un gruppo legatissimo. Io quel Mondiale lo dedico sempre ai miei compagni, perché si è vinto proprio con l’unione fuori dal campo, oltre a quella in campo. Anche noi ci siamo resi conto solo dopo, nel ritorno in Italia, che avevamo vinto. Ci stavano aspettando 40 mila persone”.