Gratteri: “la ‘ndrangheta punta sul Bitcoin, in Calabria ha molti miners. Fa anche phishing con hacker rumeni e tedeschi”

Intervista dell'Avvenire a Nicola Gratteri: retroscena clamorosi su bitcoin, dark web e social network

In un’intervista concessa a Vincenzo Spagnolo sull’Avvenire, Nicola Gratteri parla dei rapporti tra la criminalità organizzata e il mondo digitale: internet, criptovalute, social network. E come sempre, il magistrato non è banale: racconta ciò che trapela tra gli investigatori dal mondo della mafia, della ‘ndrangheta e della camorra svelando retroscena clamorosi sull’utilizzo dei bitcoin e di hacker internazionali.

Le mafie – dichiara Gratteri – hanno sempre dimostrato di avere una grande capacità di adattamento. Sono riuscite a passare indenni l’ultima fase del regime borbonico, lo stato liberale, il ventennio fascista, la prima e la seconda repubblica. Sono ancora forti e stanno esplorando con successo anche lo spazio cibernetico che deve essere visto come un’estensione del territorio fisico. Hanno iniziato con i social media (da Facebook a Tik-Tok) e stanno dimostrando sempre più interesse a estendere la loro influenza e il loro controllo su nuovi territori e opportunità economiche. Con l’espansione del mondo digitale e l’importanza crescente del web nella vita quotidiana, anche le mafie cercano di sfruttare questo spazio virtuale per scopi illegali. Tra le aree di interesse, ci sono gli attacchi informatici, le frodi online, estorsioni ransomware e altre attività illecite online. Sono attente anche alle dinamiche del dark web, la parte nascosta e non indicizzata del web dove, durante la pandemia, sono prosperate le attività illegali e da alcuni anni utilizzano anche le criptovalute. Alcune indagini hanno rivelato l’utilizzo di hacker che però non sono rimasti nascosti dietro lo schermo di un computer, ma sono andati a operare in Calabria al fianco di alcuni boss del Crotonese. L’impressione che si coglie è che alcune famiglie di ‘ndrangheta non siano più scarsamente competenti e costrette a ricorrere sempre e comunque a consulenti esterni. Alcuni collaboratori di giustizia hanno raccontato scenari caratterizzati da investimenti su piattaforme clandestine di trading e altre operazioni che in passato non erano mai state ricondotte a organizzazioni mafiose. La ’ndrangheta sembra essere un passo avanti rispetto alle altre mafie nell’ottica della gestione di criptovalute e attività illegali online. La camorra è più coinvolta nei social media, un mondo che viene continuamente esplorato anche da mafiosi, ‘ndranghetisti ed esponenti dei clan del Gargano“.

Sulle criptovalute, Gratteri dice che “Si tratta di un mercato con lucrose prospettive, se si pensa che nel 2022 il volume delle transazioni illecite ha raggiunto il livello record di 20,6 miliardi di euro. Le mafie operano in due modi. C’è chi utilizza queste valute e chi le estrae attraverso un sofisticato meccanismo di “mining”, che passa dall’uso di computer tecnologicamente avanzati con dispendi energetici rilevanti. C’è uno studio della Fondazione Magna Grecia, che verrà pubblicato a dicembre, che documenta una forte presenza della ‘ndrangheta nell’estrazione di criptovalute in Calabria. Nei bazar digitali si vende e si acquista di tutto: è possibile trafficare in droga, armi, vaccini, big data e tante altre cose che fino a poco tempo fa sembravano frutto di fervide immaginazioni. Ma Il dark web serve anche a custodire server per comunicazioni sempre più sofisticate e protette. Ci sono indagini in Calabria e in Lombardia in cui boss di ‘ndrangheta gestiscono attività di “phishing” grazie ad hacker assunti in Romania. E fanno operazioni di riciclaggio con hacker tedeschi che, come si diceva, hanno operato in Calabria, avendo accesso anche a banche europee. Bisogna evitare che nel mondo ci siano zone franche, territori con legislazioni meno affliggenti. È necessaria una strategia globale, una cooperazione sempre più efficace con continui scambi di informazioni e di intelligence. Altrimenti, sarà sempre più difficile contrastare le mafie, oggi sempre più ibride, a cavallo tra la dimensione analogica e quella digitale. Ci sono server che garantiscono comunicazioni sempre più sicure e aziende che costruiscono piattaforme e applicazioni per conto delle mafie, come dimostrano i sistemi Encrochat e SkyEcc. C’è motivo di ritenere che oggi le mafie – oltre ad avere al loro servizio pirati informatici, drug designer e hacker – dispongano di ingegneri informatici, che lavorano per evitare che le comunicazioni vengano intercettate dalle forze dell’ordine. Uno dei casi più noti è quello di Vincent Ramos, che in Canada costruiva sistemi per conto del cartello messicano di Sinaloa“.

Sul rischio che le dotazioni di poliziotti e magistrati non siano all’altezza di computer e smartphone usati dai criminali hi tech, Gratteri spiega che “Il rischio c’è, soprattutto se si tiene conto che le forze dell’ordine hanno problemi di organico, oltre che di fondi necessari per affrontare minacce sempre più globali. Cionono-stante, non stanno con le braccia conserte. Si stanno attrezzando, stanno svecchiando i protocolli d’indagine. E i risultati cominciano a vedersi. Certo non basta, c’è bisogno di una nuova consapevolezza nella lotta alle mafie che oggi sparano di meno, corrompono di più e stringono alleanze sempre più strategiche“.

Infine, il magistrato reggino dichiara: “Non ho la pretesa di fare valutazioni sulle tante camorre esistenti in Campania. Posso dire di aver trovato magistrati e investigatori competenti e preparati. Sto aggiornando le mie conoscenze sul fenomeno, che in alcune province campane non è poi molto diverso dalla ‘ndrangheta. Faremo comunque di tutto, lo assicuro, per rendere i territori più vivibili“.