Il prossimo 18 agosto sulle varie piattaforme Social Network presenti nella rete, sarà disponibile la terza conversazione, organizzata dal Circolo Culturale “L’Agorà” sul tema “Luoghi e figure cittadine: ricordi reggini“. Si tratta di una lettura sui quei punti di aggregazione, anche dal punto di vista enogastronomico, simbolo di una città che fu. Posti che oggi non ci sono più ma che continuano a vivere nei ricordi di generazioni di reggini e non solo. Si tratta di una lettura sui quei punti di aggregazione, anche dal punto di vista gastronomico, simbolo di una città che fu. Posti che oggi non ci sono più ma che continuano a vivere nei ricordi di generazioni di reggini e non solo. Ci sono simboli della città rimasti sostanzialmente immutati, e altri che hanno completamente cambiato volto, diversi invece che non esistono più. Queste alcune delle cifre che sono state affrontate nel corso della terza conversazione inerente alla location conosciuta con l’acronimo di “U luppinaru”, ubicato nella zona Nord della città di Reggio Calabria. Un microcosmo animato di persone, di vita e mestieri, di tradizioni culinarie di una Reggio a cavallo tra metà ottocento ed inizio degli anni ottanta del secolo scorso. Locations che rappresentavano, specialmente nelle feste settembrine, un vero e proprio rito. Oggi i lupini li vendono al supermercato, una volta c’era ‘u luppinaru vendeva lupini per guadagnarsi da vivere e si trovava in diversi punti cittadini per venderli ed avvolgerli in confezioni di vari formati, a secondo della richiesta della clientela, e che venivano realizzati dei coni con la carta paglia dove si avvolgeva la pasta. In quel periodo i lupini erano contenuti in un sacco di iuta ed immersi nell’acqua di un fiume per qualche giorno prima di essere salati. I marinai, invece, li mettevano direttamente a bagno nell’acqua di mare. Il lupino è una leguminosa da granella nota e diffusa fin dalla più remota antichità nel Bacino del Mediterraneo e nel Medio Oriente per la sua notevole adattabilità agli ambienti più ingrati, acidi e magri dove ogni altra leguminosa fallisce, per il suo potere di migliorare la fertilità del terreno e per la sua capacità di produrre una granella ricchissima di proteine (fin oltre il 35%) anche se non priva di vari inconvenienti. Infatti i semi di lupino contengono alcaloidi amari e/o velenosi che devono essere eliminati mediante prolungato lavaggio perché i semi possano essere adoperati nell’alimentazione umana o animale.
In Italia la coltura del lupino è crollata a seguito dello spopolamento delle aree svantaggiate nelle quali il lupino aveva trovato inserimento in ordinamenti colturali quanto mai poveri. Le regioni italiane dove il lupino ha la maggior diffusione sono Calabria, Lazio, Puglia e Campania, diffusissimi anche in Sicilia. La conversazione, organizzata dal sodalizio culturale reggino, sarà disponibile, sulle varie piattaforme Social Network presenti nella rete, a far data da venerdì 18 agosto.