Il fastidio di pensare – Processo alla diversità

Credo abbia ragione Andrea Colombo quando, sulle pagine del Manifesto, cerca le radici di questi sensitive readers, questi cultori della sensibilità che adesso stanno finanche riscrivendo i classici per non turbare la morale moderna

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Stavolta credo abbia ragione Andrea Colombo quando, sulle pagine del Manifesto, cerca le radici di questi sensitive readers, questi cultori della sensibilità che adesso stanno finanche riscrivendo i classici per non turbare la morale moderna cancellando dalle righe della letteratura ogni riferimento a etnia, riferimenti culturali e quant’altro. E forse non è un caso che a rifletterci sia proprio un figlio di quella sinistra che a lungo ci ha navigato, mentre tutti gli altri si sono limitati a disgustarsi, a lamentarsi e magari a deridere questo modo di fare, senza però analizzare a fondo questo fenomeno che ha radici molto profonde e un passo alla volta rischia, se sottovalutato con semplici lamentele, di andare sempre oltre fino a travolgerci. Alla base di tutto c’è quella cultura appiattente e egualitaria che vuole recidere ogni diversità perché ha paura, nelle differenze, di vedere le radici di ogni male, dal razzismo al classismo al vedere l’altro come un diverso e come possibile radice di ogni motivo di discriminazione e di violenza. Questa cultura ha le sue radici più sommerse nel roussoismo della rivoluzione francese e poi, spinto dalla paura delle dittature del Novecento, è infine poi esploso pienamente negli ultimi decenni. Alla parola uomini è vietato adesso aggiungere qualsiasi aggettivo senza rischiare di essere guardati male o finanche di essere condannati  (anche legalmente) come discriminatori. Gli emigrati che arrivano non sono né stranieri, ne di altre religioni, né di altre etnie, ma semplicemente uomini nella loro pura dimensione biologica. Schmitt, che era un grande antipatico, aveva detto che gli uomini così nella società in realtà non esistono e quando parli di politica a quella parola storicamente hai dovuto sempre aggiungere un aggettivo: italiani contro francesi, cristiani contro musulmani, fascisti contro comunisti, e via dicendo, ma adesso si crede che tutto questo sia finito perché tutti sono semplicemente uomini e basta, senza alcuna connotazione culturale.

Sennonché, appunto, questa pulizia è arrivata anche alla letteratura, e adesso si deve ripulire anche il mondo dei libri: è vietato e scandaloso dire, per esempio, “orientale”, “indiano”, o finanche parlare (e non c’è nulla da ridere, ma da terrorizzarsi) di una colonna “nera”. Quanto prima, a piccoli passi, sarà infamante connotare nazionalmente, o religiosamente: la strada è tracciata. Non saremo più italiani, cristiani, europei, ma solo “uomini”. Ma siccome la storia prosegue e poco si cura della stupidaggini degli uomini ecco che Andrea Colombo, appunto, che di questa cultura appiattente e egalitaria è, a suo modo, figlio non si sa quanto illegittimo, si chiede, adesso che dire ebreo è un insulto di per sé, se questa non sia una vendetta postuma di Julius Streicher, l’editore nazista che per anni aveva portato avanti una squallida politica antisemita nel suo giornale e per farlo aveva dovuto costruire argomentazioni basate sugli stereotipi popolari degli ebrei (come quei gruppi suprematisti che infestavano una certa America del dopoguerra per i quali la parola “nero” era l’equivalente di una bestemmia). Ma a quel tempo, per offendere, qualcosa ti dovevi pure inventare. Streicher poi era finito impiccato a Norimberga: i vincitori processano i vinti, come è normale nella storia. Ma poi basta sapere aspettare e l’imbecillità fa il suo corso, e adesso per considerare certe parole offensive non è neanche necessario fare riferimento a caricature, a nasi adunghi e a ghigni: adesso ebreo è offensivo di per sé, come nero, o indiano, o qualsiasi epiteto dietro cui si nasconda qualche riferimento a. È vietato avere delle particolarità, e basta. È vietato essere ebrei, o neri, o indiani (più in là, naturalmente, sarà vietato anche essere occidentali, americani: ma per ora accontentiamoci di questo). E non era forse Streicher che diceva che gli ebrei vanno eliminati solo per la loro diversità? Questi eredi inconsapevoli di Starace, di Streicher, di McCarthy e di tutti i grandi intolleranti che volevano omologare e ripulire, e che la storia ha creduto di ripulire, con una certa fatica adesso sono tornati, ma sarà molto difficile liberarsene stavolta: hanno dalla loro adesso non l’odio ma i più alti principi, o almeno così credono. Vogliono eliminare gli ebrei, ma lo fanno per gli ebrei, e si vergognano di dire nero, ma lo fanno per i neri: l’antirazzismo, nientemeno. Nascondiamo tutto, allora. Ma stavolta chi non vuole sentirle dire quelle parole non lo fa per disgusto, ma mosso da nobili propositi: elevare l’umanità eliminando quelle caratteristiche che ci separano. Un razzismo “travestito” a cui non si può muovere alcuna obiezione, per non rischiare di essere accusati a sua volta. E dietro questa altezza di sentimenti ci inchiniamo devotamente.

 

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