Don Cicco, padre di Matteo Messina Denaro, visse gran parte della sua vita da latitante. E da latitante morì, senza mai pagare il suo conto con la giustizia. Per i giudici di Trapani Francesco Messina Denaro, a capo del mandamento di Castelvetrano dagli anni ’80, era un “lavoratore assiduo” e un “risparmiatore oculato“. Non c’erano prove, secondo i magistrati, della sua vicinanza a Cosa nostra. Peccato però che fosse il boss, padre di Matteo, ex primula rossa di Cosa nostra.
Dopo qualche mese da questa sentenza Messina Denaro padre avrebbe fatto perdere le proprie tracce. Fino alla sua morte sarebbe riuscito a sfuggire alla giustizia.
I giudici di Trapani diedero un giudizio in netto contrasto con le valutazioni dell’allora pm di Marsala Paolo Borsellino. Il magistrato che anni dopo sarebbe stato ucciso a Palermo, per don Ciccio aveva chiesto la misura di prevenzione della sorveglianza speciale. “Non luogo a procedere” fu il verdetto dei giudici del tribunale di Trapani. Si tratta di Massimo Palmeri, Giuseppe Barracco e Tommaso Miranda che a luglio del 1990 respinsero la richiesta della Procura di Marsala.
Secondo i magistrati non c’erano elementi per applicare al padrino la misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale. Oggi, Barracco non c’è più. Miranda è presidente di sezione del tribunale a Napoli. Palmeri, attuale procuratore di Enna, ha fatto domanda come procuratore aggiunto a Palermo. Dopo aver perso il concorso per la guida dell’ufficio inquirente di Marsala attende l’esito del ricorso contro il suo avversario, Fernando Asaro, nominato dal Csm procuratore.