‘Ndrangheta stragista, omicidio Fava e Garofalo: “Cosa Nostra complice dei clan calabresi”

Il maresciallo Antonino Fava, insieme al collega Vincenzo Garofalo, sono stati uccisi da Cosa Nostra e 'ndrangheta mentre pattugliavano la corsia sud della Salerno - Reggio Calabria

StrettoWeb
Ascolta l'articolo

E’ iniziata questa mattina, presso la Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria, la requisitoria della pubblica accusa nel processo per il duplice omicidio dei carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo, assassinati dalla ‘ndrangheta il 18 gennaio del 1994 nei pressi dello svincolo autostradale di Scilla. Ad essere accusati dell’efferato omicidio sono il boss palermitano di Cosa nostra Giuseppe Graviano, e il capo bastone della ‘ndrangheta di Melicucco, Rocco Santo Filippone, già condannati in primo grado all’ergastolo. In aula, a rappresentare le ragioni dell’Accusa, il Procuratore aggiunto antimafia, Giuseppe Lombardo, ed il sostituto Walter Ignazitto, applicati temporaneamente alla Procura generale.

Si è riscontrata estrema difficoltà nel “trovare elementi di indagine di fatti accaduti 40 anni fa, ma riteniamo di avere integrato ricostruzioni gia’ esistenti per dimostrare che certe figure politiche e taluni incontri, non sono stati casuali. Tante coincidenze che sono diventate prove a distanza di dieci anni“, ha precisato il pm Lombardo. “L’apporto dei collaboratori di giustizia, chi ha il coraggio di parlare in una nazione di silenzi“, che ha reso possibile evidenziare come la ‘ndrangheta abbia affiancato Cosa nostra nella stagione delle Stragi, “in un unico disegno unitario“, ha precisato ancora Giuseppe Lombardo.

Il Sostituto Ignazitto ha contestato i motivi d’Appello depositati dai legali di Graviano e Filippone, sotto il profilo della procedura penale e sui diritti della difesa. Ha ribadito la linea dell’Ufficio di Procura che, a suo dire, non avrebbe mai negato a Giuseppe Graviano l’accesso alla conoscenza delle intercettazioni telefoniche richieste, sollecitando gli uffici ministeriali competenti a fornire al boss di Brancaccio tutti i supporti informatici utili a soddisfare le sue esigenze difensive.

Il processo ‘Ndrangheta stragista, conseguto al duplice omicidio dei due carabinieri che, all’epoca, scosse l’opinione pubblica, ha visto un dibattimento lungo quasi dieci anni, durante il quale è stato ricostruito il ruolo della ‘Ndrangheta nel quadro dell’attacco allo Stato negli anni ’90 deciso da Totò Riina. Lo scopo era quello di spingere le istituzioni alla cosiddetta “trattativa” per alleggerire il carcere duro e gli effetti della legge Rognoni-La Torre. Solo così sarebbero terminati gli attentati indiscriminati contro le forze di polizia e i siti di pubblico interesse.

L’appuntato Antonino Fava è stato ucciso insieme al collega Vincenzo Garofalo mentre pattugliavano la corsia sud della Salerno – Reggio Calabria. Quel pomeriggio del 18 gennaio 1994, l’Alfa 75, con a bordo i militari fu affiancata da una Fiat Punto su cui viaggiavano Consolato Villani, allora minorenne, poi diventato collaboratore di giustizia, e Giuseppe Calabrò, nipote di Rocco Santo Filippone. Fu proprio Calabrò a sparare contro la l’automobile dell’Arma con un mitragliatore Beretta M12, uccidendo i due carabinieri.

Condividi