Matilde di Canossa in Calabria tra Passato e Presente | VIDEO

I risultati ed il video della conversazione organizzata dal Circolo Culturale “L’Agorà” sul tema “Matilde di Canossa in Calabria tra Passato e Presente”. Gradita ospite del sodalizio organizzatore la ricercatrice toscana Elena Pierotti

StrettoWeb

Si è svolta venerdì 24 febbraio la conversazione su “Matilde di Canossa in Calabria tra Passato e Presente”, tema analizzato dalla ricercatrice toscana Elena Pierotti. “Il Circolo Culturale l’Agorà nel 1998 ha affrontato – esordisce la gradita ospite del sodalizio culturale reggino – l’importante tema della presenza normanna in Calabria. Alcuni studi che ho condotto su Matilde di Canossa ed i suoi feudatari mi riporta necessariamente alle osservazioni prodotte dal Circolo l’Agorà proprio sui rapporti con i normanni.

Il Circolo culturale fece riferimenti importanti a Boemondo d’Altavilla e a Dagoberto, vescovo di Pisa, che collaborarono. Boemondo fu una pietra miliare della prima crociata, eppure il personaggio è davvero poco seguito. Avrò modo in questa breve trattazione di chiarire le vicende trattate. “Un castello normanno sorge in cima ad uno sperone roccioso e dall’alto domina il borgo di Bova, in Calabria. Gli ambienti ancora leggibili sono siti a quote diverse, ma è difficile comprendere la loro funzione anche per il fatto che si è avuta un’alterazione dell’orografia originale del terreno. Al castello si addossavano le mura di cinta della città di cui faceva parte una torre, a pianta circolare (torre normanna) ancora oggi esistente. Diverse sono le ipotesi sulla datazione della complessa fortificazione, è probabile che le strutture esistenti siano di età Angioina. Nei secoli XV -XVI – XVII in seguito alle incursioni turche, il castello rappresentò un ottimo e sicuro rifugio per la popolazione.

Al castello sono legate diverse leggende. Sulla cima, scavata in un macigno, è ancora visibile l’orma di piede di una donna. L’orma sarebbe appartenuta secondo una prima leggenda alla Contessa Matilde di Canossa, che aveva ricevuto il castello dal Pontefice Gregorio VII”. Leggenda? A Pisa e a Lucca ai tempi di Matilde, un personaggio ebbe in ruolo importante: il normanno di origine ebraica Pagano da Corsena. Chi era costui? Pagano da Corsena ed il Placito di Pieve Fosciana. Il 29 agosto 2020 presso il Convento di Sant’Anna di Pieve Fosciana, in Garfagnana, ed a seguire il 6 settembre del 2020 presso la Chiesa di Corsena, in Bagni di Lucca, si sono tenute celebrazioni da un progetto per valorizzare i territori interessati dal sistema viario che recentemente è stato indicato come via matildica del Volto Santo. Il nome stesso sottolinea la presenza di testimonianze canossiane e pone l’accento sul Volto Santo di Lucca, polo di attrazione per il sistema di spostamento transappenninico.

La storica Ilaria Sabbatini in quel periodo ha presentato Pagano da Corsena e i suoi possedimenti quale feudatario di Matilde. Il 10 luglio 1105, a Pieve Fosciana Matilde di Canossa sedeva in giudizio per deliberare sulla richiesta di Pietro, una abate di Badia Pozzeveri, località non lontana dalla più celebre Altopascio, Regno dei cavalieri del Tau, per una conferma dei suoi beni che erano stati di Ildebrando, figlio del fu Pagano da Corsena (attuale Bagni di Lucca) uno dei feudatari di Matilde nel territorio lucchese. Pagano da Corsena aveva avuto infatti il controllo di un’ampio spazio che si estendeva lungo l’alta valle del Serchio e del suo affluente Lima, seguendo un percorso punteggiato di pievi, ospizi e ponti: infrastrutture stradali che rivelano la presenza di due importanti aree di strada facenti perno sul passo delle Radici e sul passo della Croce Arcana. Questa distribuzione conferiva al feudatario di Matilde il pieno controllo del territorio delle due valli.

Dalla parte della Val di Lima i suoi beni arrivavano fino al limite dei possedimenti dell’abbazia di Fanano, da cui dipendeva l’ospizio della Val di Camola, posto sull’altro versante dell’Appennino, nella località di Ospitale. Nell’Alta Valle del Serchio i possedimenti di Pagano arrivavano a lambire il territorio di Pieve Fosciana, nel quale insiste la convergenza di due percorrenze: l’una era la via di Frassinoro; l’altra, proveniente dalla Lunigiana, per la via dell’ospedale di Tea, spesso presentata come diverticolo della strada percorsa dall’Arcivescovo di Canterbury Sigerico, il fondatore della via Francigena, l’autostrada medievale che collegava Canterbury a Roma, passando per Parigi, e proseguendo di fatto dopo Roma verso la Puglia, direzione Terra Santa. Raccontiamo dunque le gesta di un personaggio coevo a Matilde, suo feudatario, Pagano da Corsena. Per chi non conoscesse le vicende Pagano si chiamava così perché appunto un ex Pagano convertito ed il riferimento a Corsena è quello alla celebre chiesa di San Pietro sita in quel luogo che oggi ha nome Bagni di Lucca. Chiesa mitica dove Baden Powell agli inizi del novecento ha fondato gli scout dell’Agisci. Gli inglesi hanno sempre avuto a cuore del resto sia Corsena che la mitica Chiesa, pur non essendo cattolici ma protestanti.

La vicenda parte da lontano. Pagano da studi intrapresi da eminenti storici fu uno dei più cari e famosi feudatari di Matilde di Canossa. La Grancontessa ben sappiamo che ha fondato e/o frequentato assiduamente quegli Ordini cavallereschi (Templari, Tau, Cavalieri del Santo Sepolcro, Cavalieri di Malta) che furono il cuore delle crociate e delle vicende guerriere di quegli anni. Aveva come cugino lo stesso fondatore dei cavalieri del Santo Sepolcro, ossia Goffredo di Buglione, uno dei sostenitori della prima crociata. Matilde non partì nel 1099 per l Terra Santa solo perché all’epoca aveva già cinquanta anni. I rapporti tra questi cavalieri e gli ebrei e i normanni che incontravano lungo le loro rotte erano sì conflittuali ma talvolta anche collaborativi. Del resto non era strano che qualche guerriero della parte avversa fosse fatto prigioniero e divenisse una sorta di infiltrato nelle fila dei dominatori che poi per le sue capacità guerriere ed organizzative veniva reclutato in modo permanente e essenziale dal nemico. Pagano da Corsena deve aver avuto una storia simile. Gli storici hanno trovato tracce di provenienza sia ebraiche, tanto da venir talvolta nei documenti definito l’embriaco, sia normanne. I normanni presenti sui mari avevano rapporti strettissimi essi stessi con la realtà Palestinese.

Una celebre normanna, la mamma di Federico II, Costanza d’Altavilla, aveva al contempo origini aleramiche. Frequentò e visse spesso a Vercelli, terra aleramica, questo anni dopo la morte di Matilde, e qui fece crescere anche suo figlio, il futuro Federico II che non solo a Palermo ebbe residenza. Federico II anche lui un “cugino” di Matilde? Non si tratta tanto di definire parentele di sangue quanto piuttosto apparentamenti politici ed affinità culturali per appartenenza. Matilde frequentò a lungo San Pellegrino in Alpe, terra sita tra Modena e Lucca, posta a oltre millecinquecento metri di altitudine, dove si venerano due Santi che hanno provenienza, almeno secondo la leggenda, della Scozia. Necessario dunque catapultarci oltre la Manica, per assaporare tra Normandia e terre di Albione, le vicende che sto per descrivere. Essere Longobardi, perché questo era Matilde, non significava solo essere ma continuare ad essere i dominatori. Si dominava da sempre in Italia, dai tempi di fatto della caduta dell’Impero Romano, e neppure la dominazione franca aveva scalfito questo potere.

I franchi si erano affidati agli avamposti longobardi ed avevano lasciato ai nipotini di Liutprando di fatto il potere politico. La dinastia dei Canossa non lo esercitò solo in Italia ma anche in Europa. La mamma di Matilde, Beatrice di Lorena, era cugina dell’Imperatore. E di Goffredo di Buglione, che proveniva dalle Fiandre. L’Imperatore Enrico IV, cugino di Matilde, dovette sottostare alla volontà del papa Gregorio VII. Il figlio di Enrico, l’Imperatore Enrico V, incoronò Matilde Regina d’Italia, qualcuno sostiene per enfatizzare il ruolo esercitato dalla Grancontessa ma solo in maniera formale. Sta di fatto che ella fu davvero la prima regina d’Italia. Enfatizzare? Enrico V sposò in prime nozze Matilde d’Inghilterra, poi madre del Re inglese Edoardo, figlio questo di Matilde e del suo secondo marito. L’Europa dovette sottostare alla Riforma Gregoriana di papa Gregorio VII cui Matilde aderì compiutamente. E con Lei la nomenclatura italica.

Del resto Gregorio VII era un conte Aldobrandesco e gli Aldobrandeschi fecero fulgida carriera, divennero Principi e tutt’ora li ritroviamo nella casata Orsini, una delle più prestigiose Casate Romane. Gli Aldobrandeschi stazionavano in bassa Toscana, l’attuale Maremma e zone limitrofe in alto Lazio. Ma, udite udite, queste terre con tutta la costa Toscana annessa la lucchesia e odierna Versilia e Garfagnana nonché territori interni pisani e lucchesi appartenevano a partire dal Ducato di Tuscia a quelli che Monsignor Giandomenico Pacchi di Castelnuovo Garfagnana, storico ed amico del celebre Antonio Muratori definisce “fanti cugini di Matilde” nelle sue dissertazioni. I Soffredinghi, questo il loro nome, rossi di Anchiano e della Cune, detti anche Sigifredi perché il nome più utilizzato era quello di Sigifredo. Mantennero il potere di fatto in modo alterno fino al trecento, e scomparvero, a detta degli storici nel cinquecento. Negli stessi territori e nello stesso periodo troviamo una celebre Casata Longobarda, i della Gherardesca. Stesse terre di appartenenza.

Potevano tre Casate così prestigiose avere contemporaneamente gli stessi territori? O confinare tra di loro e sconfinare senza alcun colpo ferire? Poco probabile. Pagano da Corsena, il Feudatario che occupava territorialmente proprio le terre dei Soffredinghi, viene annoverato da taluni come un celebre Templare, addirittura, un fondatore dell’Ordine. Possibile? Non possiamo sentirci di escluderlo. Pagano dovette per queste Casate essere una sorta di nume tutelare, un vero esempio da seguire. Monsignor Giandomenico Pacchi parla chiaro e non mente. Sepolto nella Chiesa dei Chierici Regolari Lucchesi in Lucca, Santa Maria Corte Orlandini, pur non appartenendo all’Ordine, lo stesso Pacchi era stretto collaboratore di Antonio Muratori. Muratori nel settecento collaborò a lungo con i Chierici lucchesi che occupavano la Curtis ronaldinga, di quei Ronaldinghi, altra celebre Casata longobarda del territorio, che nella Tuscia Longobarda, era liminare ai Soffredinghi in quel di Loppia (fondazione matildica per la Sua celebre chiesa) e Barga.

Solo coincidenze? La chiesa dei chierici ha tre fondazioni. Una dell’ottocento dopo cristo. Una del 1187, anno della battaglia di Hatting, fondazione Templare. Ed una del Cinquecento, l’attuale, sotto i chierici. Nel 1187 i fondatori in seconda della chiesa non si erano abbandonati alla disperazione per i fatti ascritti. La debacle di Hatting non li aveva impensieriti. Ciò dovrebbe, sostengo, impensierire invece noi contemporanei, e farci porre alcune domande sin qui ignorate. I fondatori Templari lucchesi della Chiesa avevano evidentemente voluto risollevare le Sorti dei cavalierati e di quei Valori che Gregorio VII in primis aveva rappresentato. Se potevano permettersi dopo una simile debacle di risollevarsi con orgoglio e perseveranza sapevano che potevano contare sia su introiti certi (fondare una Chiesa rappresentava un costo in termini economici) sia su un revanscismo rinvigorito da soluzioni che si prospettavano all’orizzonte.

Gregorio VII era anche lui “cugino” di Matilde? Si è troppo speculato sui reali rapporti tra papa Gregorio VII e Matilde di Canossa. Per alcuni furono anche amanti. Più semplice supporre rapporti carnali anziché descrivere quelle che davvero potevano essere le implicazioni politiche. Tanta speculazione tradisce sicuramente questa seconda ipotesi. Le Casate Longobarde potenti si erano affratellate ed avevano intrapreso consorterie, anche di natura dinastica. E’ senza dubbio il caso dei Della Gherardesca con i Soffredinghi, visto che un figlio del conte Ugolino sposò una di loro. Gli apparentamenti erano piuttosto comuni. Un Tau altopascese prese in sposa in quel periodo una Bianca proveniente addirittura dal Ducato di Benevento, altra realtà longobarda di vecchia data, altro Ducato che mantenne come Lucca a lungo la sua indipendenza politica. Qualcuno sostiene che queste Casate, non ultimo Giandomenico Pacchi, avessero tra di loro rapporti molto stretti. E come poterlo negare visto che erano sia territorialmente che politicamente interconnesse.

Questa connessione durò a lungo. Lo storico Mencacci in “Templari a Lucca” con prefazione dello storico Franco Cardini, sostiene che a Lucca i Francescani e i Domenicano andarono sempre in simbiosi con i Templari. E che gli Orti della Magione templare lucchese erano confinanti con quelli dei Domenicani in San Romano. Solo simbiosi o appartenenza? – si chiede Elena PierottiLa risposta l’abbiamo nell’affermazione sempre dello storico Mencacci per cui in Lucca i Templari, dopo lo scioglimento dell’Ordine, continuarono a fare quanto avevano fatto sino a quel momento senza colpo ferire. Lo storico su questo non dà spiegazioni. Ma proviamo a definire i fatti. Proprio nel 1314 sparì a Lucca l’imponente tesoro personale di papa Clemente V, il Pontefice che aveva sciolto l’Ordine. Lucca era sulla via Francigena e lo stesso pontefice aveva affidato il suo tesoro ai famigerati Canonici di San Frediano, Basilica esoterica nonché Laternanese, e per metà proprio ai Frati di San Romano.

Davvero singolare. Mai si è saputo chi si sia appropriato del tesoro scomparso di Clemente V, ammontante a 1000 scudi. Le soldatesche di Uguccione della Faggiuola, il Magnate pisano che aveva messo a Sacco Lucca furono accusate del trafugamento, ma senza prove certe. La cosa appare assai equivoca visto che i Templari in Lucca dopo lo scioglimento dell’Ordine continuarono a fare quanto facevano in precedenza, a questo punto sotto copertura. Nelle terre che appartennero in Bagni di Lucca, in Borgo a Mozzano e dintorni, terre Garfagnine e della Media Valle del Serchio ai Soffredinghi troviamo in epoca recente famiglie che ancora mantenevano rapporti con i della Gherdesca piuttosto stretti nel XIX secolo, e per Monsignor Giandomenico Pacchi il matrimonio intercorso tra un figlio del mitico conte Ugolino ed una Soffredinga ne aveva suggellato in epoca medievale i rapporti. Rapporti peraltro piuttosto stretti , sia con la Casata che con le terre maremmane. E pisane.

Di famiglie di estrazione nobiliare, mi ripeto, ancora nel XIX secolo e sugli stessi territori definiti. Molti appartenenti a tali famiglie hanno fatto parte fino ai nostri giorni dell’Ordine francescano e domenicano, in città e fuori. Chi era dunque Matilde, la donna che oggi riposa, unica, con la regina Maria Cristina di Svezia, in Vaticano? Chi erano davvero i suoi cugini fanti? La risposta ce la danno Monsignor Giandomenico Pacchi nelle sue dissertazioni, e lo storico Antonio Muratori, suo fidato collaboratore. Erano i Soffredinghi (Sigifredo conte Attone, avo matildico un loro diretto discendente a sentire Monsignor Pacchi) coloro che a lungo operarono in Europa nel Bec. I seguaci di Anselmo da Baggio. Poi papa Alessandro II. Erano coloro che con papa Carafa, ossia Paolo V nel cinquecento seguirono una controriforma che voleva comunque riappropriarsi della sua più pura identità, quella di Gregorio VII, quella Europea (in Lucca ancora nel XIX secolo dimoravano i Carafa Di Noia).

Erano papa Prospero Lambertini, alias Clemente XIV, che volle sciogliere nel settecento l’Ordine gesuita, reo di non permettere all’Europa di riunificarsi culturalmente, politicamente socialmente, preferendo un trend più mediterraneo ma poco Svizzero e Inglese, le terre maggiormente coinvolte nella riforma. I personaggi che avevano rapporti di parentela anche con gli stessi Pontefici e che avevano le medesime radici Longobarde descritte furono infatti accusati in Lucca e dintorni ripetutamente di giansenismo, perché Giansenio aveva rappresentato quel limite invalicabile che qualcuno non aveva voluto spendere. Per queste frange cattoliche il Risorgimento italiano non fu solo motivo di riscatto politico, fu soprattutto motivo di modernità, una modernità antica, con solide radici culturali. Poco spendibile perché forse, mi permetto, in area mediterranea, di nicchia. Ma questo è un mio pensiero. Il massimo collaboratore di Giansenio riposa a Parigi nella chiesa di Saint Jacques du hot Pas, che fino al cinquecento è appartenuta all’Ordine dei Cavalieri altopascesi del Tau. Chiesa mai violata né dai rivoluzionari parigini, né da Napoleone Bonaparte. E molto amata ancora adesso dalla popolazione parigina. Solo fortuita coincidenza?

Un uomo come Giuseppe Mazzini, accusato di avere formazione giansenista, studiò a Genova dai padri Scolopi, gli stessi che a Lucca erano rappresentati dai Chierici regolari citati. Giuseppe Mazzini collaborò a lungo, documenti alla mano, con quelle frange di rivoluzionari definite impropriamente cattolico liberali, quando la loro matrice era da sempre più cristiano sociale. Nel XIX secolo. Anche in questo caso sono i documenti a definire la questione. Papa Gregorio VII regalò a Matilde di Canossa, secondo tradizione, la rocca di Bova, in Calabria. Il sud che poi sarà di Federico II di Svevia era infatti l’avamposto europeo più importante. La via Francigena da Roma, de facto, proseguiva in Puglia sino a Brindisi e da qui, idealmente e fattivamente in Terra Santa. Nel XV secolo furono inviati nelle disabitate Isole Tremiti dall’allora Pontefice i Canonici Lateranensi di San Frediano. Non è dato sapere per quale motivo la scelta cadde proprio su di loro. Ma l’appartenenza Lateranense della Basilica lucchese è un dato incontrovertibile. Nel XIX secolo, sempre in Calabria, troviamo un importante filosofo, Pasquale Galluppi, collaborare alacremente con i rivoluzionari mazziniani di stampo cattolico, gli stessi Le cui famiglie affondano proprio le loro origini nel Medioevo descritto.

Questi Movimenti Rivoluzionari Risorgimentali vedevano una presenza rilevante di Antonio Rosmini e delle Frange europee votate al dialogo tra le varie religioni. Tali movimenti dalla storiografia ufficiale sono stati sottesi e dimenticati una volta che l’Unità nazionale è stata fatta. Rimando in proposito ai miei studi in rete. Riflessioni che fanno dei normanni e del Bec una entità che lungo i secoli appare sempre presente e ricca di aspettative. Gli aleramici furono vicini ai soffredinghi e alle Casate Longobarde padane e toscane. Come lo furono ai normanni, con i quali condivisero i mari, convivendo nelle tempeste e nelle vittorie. Tutti a loro volta in Palestina vicini a quel mondo ebraico che rappresentava il volto stesso del territorio Santo per antonomasia. Sempre conteso in Oriente come in Occidente. La chiamerei -conclude Elena Pierotti – coincidenza d’interessi. Il sud d’Italia una piattaforma nel mar Mediterraneo, per dirla con Fernand Braudel“.

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