Matteo Messina Denaro da assassino di bambini a divo: i social e la disumanizzazione dilagante

E' più facile mitizzare un assassino di bambini come Matteo Messina Denaro che provare rispetto e dolore silenzioso per le sue vittime

StrettoWeb

Occhiali da divo, giubbotti e orologi da migliaia di euro, preservativi, donne: i social stanno trasformando Matteo Messina Denaro in un personaggio da cui prendere esempio, quasi uno status symbol. Dimenticando però che è, e resta, un assassino. Assassino anche di bambini: strangolare e sciogliere nell’acido il piccolo Giuseppe Di Matteo è stata un’idea sua. La morte della piccola Nadia Nencioni, uccisa dalla bomba di via dei Georgofili, a Firenze, nella notte fra il 26 e il 27 maggio 1993, è stata sancita, tra gli altri, anche da lui.

Questo arresto, lungi dal mettere la parola fine al fenomeno della Mafia, poteva comunque chiudere un cerchio, o buona parte di esso: quello delle stragi che fino ai primi anni degli anni ‘90 i mafiosi hanno perpetrato ai danni di chiunque, magistrati, forze dell’ordine, politici, amici, nemici, grandi e piccoli. Ma il cerchio non si chiuderà e non lo farà perché la gente – la gentaglia – ha dimenticato. In effetti chi non vive sulla propria pelle il dolore, la morte, lo strazio può ricordare solo se vuole, solo se si impegna. Ma la nostra società non è più fatta da individui che si impegnano, che riflettono, che si fermano a ricordare. Siamo diventati gentucola che si limita a sghignazzare anche di fronte alle notizie più drammatiche. Come se superficialità e leggerezza fossero la medesima cosa.

Che su questo arresto ci sia molto da dire e da scrivere nessuno lo mette in dubbio: una latitanza di 30 anni, di cui buona parte trascorsa nella propria terra di origine, dovrebbe far riflettere. E chi è preposto a questo tipo di indagini, magistrati in primis, dovrebbe porsi più di qualche interrogativo sulle falle del sistema. Ma, detto questo, l’arresto c’è stato, anche se in ritardo. Dunque perché denigrare? Perché sminuire una cattura attesa da anni da chi ha perso un padre, un figlio, un amico, un conoscente? Matteo Messina Denaro non si è fatto catturare: a 60 anni non si è vecchi. E non lo si è soprattutto se si è trascorsa la propria vita sperperando denaro e rincorrendo la ‘bella vita’. E non sta morendo. O meglio: la malattia che lo ha colpito è sicuramente grave, ma potrebbe doverci convivere ancora per anni. E vi pare che un uomo come lui, che fino all’ultimo giorno di libertà ha tentato di ‘abbordare’ una ‘collega’ di chemio, possa decidere autonomamente di trascorrere la vita che gli è rimasta in una cella? Io scommetto di no.

Non collaborerà con la giustizia, perché resta uno dei peggiori di quella banda di ‘viddani e peri incritati’ che, arrivati dalla provincia, sono riusciti a conquistare Palermo. Ma anche se non collabora la più grande sconfitta l’ha appena subita: la bella vita per Matteo Messina Denaro è finita. Almeno concretamente. Già, perché il clamore che continua a ruotare intorno a particolari delle attuali indagini in corso non sta facendo altro che tenere in vita un mito che mito non è. “Scoperta la collezione di occhiali Ray-Ban del boss”, e tutti i pecoroni dei social a condividere. “Trovati preservativi nel covo del boss”, e ancora tutti a commentare ironicamente e ripostare. “Negoziante napoletano vende giubbotti stile Messina Denaro a prezzi stracciati”, e tutti partono per la corsa al montone, tra l’altro terribile.

Ma dov’erano questi commentatori e condivisori seriali quando ogni fibra del corpo di Giuseppe Di Matteo si disintegrava nell’acido? Dov’erano quando il giudice Antonino Scopelliti veniva ucciso in uno dei punti della provincia di Reggio Calabria da cui si gode di un meraviglioso panorama sullo Stretto di Messina? Dov’erano quando Nadia Nencioni, pochi giorni prima di morire a soli 9 anni, scriveva quasi profeticamente la poesia ‘Tramonto’, nome poi dato all’operazione con cui è stato arrestato il boss di Cosa Nostra?

Non basta dire “non sono stato io”. E’ necessario non dimenticare, non deridere, non rendere tutto una caricatura. Ma è già tanto se qualcuno è arrivato a leggere fin qui ciò che ho scritto, perché le faccende impegnative non sono più ben gradite in questo mondo così disgraziato. Eppure basterebbe poco: basterebbe umanità, empatia, amore, voglia di giustizia per sé e per gli altri. Tutto qua. Ora potete tornare a deridere le forze dell’ordine che, indagando per 30 anni, hanno sacrificato vita e famiglia. E potete tornare anche a mitizzare un assassino senza scrupoli. E’ molto più facile: rispetto e dolore silenzioso richiedono un impegno troppo umano. E l’umanità è ormai ridotta in brandelli.

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