Giovannini e la logistica, un discorso poco logico

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Soltanto potenti spinte lobbistiche, alle quali la politica italiana non è mai stata estranea, soprattutto per quanto concerne la portualità, possono spiegare questo accanimento nel voler ignorare quanto il sud già può offrire, puntando tutto, come al solito, sulle infrastrutture (future) del nord

“Pensare che le merci arrivino in Sicilia o Gioia Tauro e poi continuino a viaggiare per tutta l’Italia in treno, per poi proseguire verso la Germania e i Paesi del centro Europa, a fronte dell’ipotesi di arrivare direttamente a Genova e a Trieste, è un non-senso a causa dei costi”. Lo ha dichiarato il Ministro per le Infrastrutture e della Mobilità sostenibile, Enrico Giovannini, al panel del Meeting di Rimini dal titolo “Mare Nostrum:il Mediterraneo, nuovo nodo di connessioni”.

Un discorso che ribadisce clamorosamente l’attenzione spasmodica che il governo continua a riservare al nord produttivo del Paese, e che comunque non regge ad un esame di semplice logica, che tralasciasse persino le più avanzate e recenti teorie sulla logistica. Come se, in sintesi, Barag Khanna non ci avesse esposto da tempo il suo paradigma sulle “supply chain” globali che, in scala più ridotta, si adattano perfettamente al nostro Paese ed ai suoi squilibri interni. Una teoria ormai universalmente condivisa che vede nello sviluppo delle infrastrutture e della connettività il modo migliore per superare squilibri e diseguaglianze su scala mondiale, risolvendo anche le situazioni di conflitto che vedono protagonisti, non casualmente, proprio i Paesi meno connessi. Un approccio ben differente da quello classico che, invece, ha visto negli ultimi decenni crescere squilibri e livello globale.

E’ avvenuto anche in Italia, come sappiamo, con tendenza persino crescente negli ultimi decenni, ma nessuno sembra ancora rendersene conto: non solo viene ignorato il rilancio dell’economia che può venire da una infrastrutturazione estesa alle aree meno sviluppate del Paese, ma si continua a propinare ad un pubblico sempre più attonito la vecchia litania della “locomotiva padana” da potenziare perché sia in grado di trascinare il resto del Paese, sud compreso.

Ma, anche senza scomodare le più avanzate teorie economiche, che Giovannini evidentemente ignora, il  discorso del Ministro per le infrastrutture sulla preferenza accordata alla portualità settentrionale come “Gateway” europeo potrebbe avere un senso soltanto se ipotizzassimo che Genova e Trieste siano situate in pianura, avessero almeno 5 km di banchinamenti adatti alle mega portacontainers e spazi retroportuali di centinaia di ettari. In queste condizioni, secondo l’approccio classico, avrebbe senso fare arrivare le navi fin lì piuttosto che trasferire le merci su ferro, perché i costi complessivi del trasporto sarebbero inferiori. Con buona pace per le aspirazioni di sviluppo della portualità e del territorio meridionale, costretto ancora una volta a farsi trascinare dalla possente locomotiva padana. E tanti saluti a Barag Khanna ed alle sue Supply Chain a commissione diffusa.

Ma non è così. Genova e Trieste sono afflitte da una condizione geografica irrisolvibile, che mai le renderà capaci di competere, come molti continuano incredibilmente a sostenere, con i porti del Northern Range. Mancano gli spazi retroportuali e banchinamenti, ma nel caso del porto ligure persino la possibilità di attracco per le megaportacontainers.

Infatti, e non c’è da sorprendersi, solo per Genova si stanno spendendo 13 miliardi di € per poter movimentare poco più di un milione di containers l’anno, e con orizzonte temporale fissato al 2030, anche se c’è chi giura che si arriverà almeno al 2035, a causa delle difficoltà che emergeranno nella realizzazione della ciclopica diga foranea, per la quale si prevede già il raddoppio dei costi (da uno a due miliardi…).

Ma perché impegnare somme così notevoli ed aspettare il prossimo decennio quando hai già pronto Gioia Tauro, con i suoi 5 km di banchinamenti, in grado di assicurare adesso una movimentazione più che doppia rispetto a quella di Genova del 2035? Con il collegamento del porto di Gioia Tauro alla rete ferroviaria, aperto soltanto l’anno scorso con colpevole ritardo, si può già consentire a navi mega-portacontainers da oltre 20.000 TEU e pescaggio fino a 18 metri, di scaricare il proprio contenuto ed instradarlo per ferrovia fino agli interporti della pianura padana e, da qui, nel resto d’Italia e d’Europa.

Ma il sud, con Augusta, Taranto ed altri porti meridionali sarebbe in grado di offrire possibilità ancora maggiori alle capacità dell’intero Paese di diventare la porta dell’Europa per le merci provenienti dal Far East, e senza spendere cifre molto diverse da quelle destinate ai porti del nord. Tutto ignorato, insieme alle moderne teorie sulla organizzazione delle Supply Chain.

Sembrerà assurdo a Giovannini, ma se i cinesi hanno deciso di investire pesantemente sul Pireo e sui relativi collegamenti ferroviari con il centro Europa, qualche ragione ci sarà. Insieme alla certezza di vedere, ad opere concluse, un’Italia sempre più esclusa dai flussi internazionali, scavalcata ad Est persino dalla Grecia. Ed incapace di sfruttare i corridoi ad alta capacità TEN-T che per qualche motivo, certamente sconosciuto al Ministro per le Infrastrutture, l’attraversano da nord a sud.

Soltanto potenti spinte lobbistiche, alle quali la politica italiana non è mai stata estranea, soprattutto per quanto concerne la portualità, possono spiegare questo accanimento nel voler ignorare quanto il sud già può offrire, puntando tutto, come al solito, sulle infrastrutture (future) del nord. Un atteggiamento che ha fortemente condizionato, purtroppo, il PNRR e che rappresenta un problema non soltanto per il sud, ma per l’intero Paese.

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