Fa bene Occhiuto a pensare alla sanità, ma basta commissariamento: la Calabria vuole diventare una regione normale

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Fa bene il presidente Occhiuto a dare priorità assoluta alla sanità (anche se altri pericoli, come l’Autonomia differenziata, incombono sulla nostra regione) e ad accettare sul tema “contributi anche da parte delle opposizioni”. Ma siamo sicuri che abbia fatto bene a chiedere ed ottenere di diventare lui stesso commissario della sanità? Mi permetto di dubitare che sia questa la soluzione ideale per la Calabria. Sul piano pratico e su quello simbolico. La sanità calabrese, che ha sempre avuto problemi, negli ultimi undici anni, in concomitanza con il commissariamento, ha sofferto in forma acuta in tutti comparti, dalla medicina d’urgenza alla sanità territoriale. Alcune figure (non tutte per la verità) inviate dal governo nazionale in funzione di commissari, hanno mostrato limiti insopportabili d’improvvisazione in un settore che ha sempre avuto bisogno soprattutto di valenti organizzatori sanitari, capaci di leggere i bilanci delle aziende e i loro pericolosi interstizi. Certo il presidente deve acquisire in fretta una supervisione molecolare dell’incandescente materia, ma non attraverso il ruolo del commissario. Finché resta in vita tale figura, indipendentemente da chi la rappresenta, i calabresi continueranno a versare all’erario le aliquote fiscali più alte, previste da un articolo della finanziaria che si connette in forma automatica a quella figura. Un salasso che noi calabresi paghiamo in silenzio, contraddicendo il nostro storico ribellismo, da oltre undici anni. Si tratta di un problema rilevante che si abbatte su di una regione provata.

Se posso fare un riferimento personale, di cui mi scuso, aggiungo che fu questo il motivo che mi fece nel 2009 respingere in Consiglio dei ministri la proposta di commissariamento avanzata all’epoca dal presidente Berlusconi. D’altra parte, finché il piano di rientro non si realizza e i Lea non vengono rispettati, come da anni non vengono rispettati, la funzione del commissario, sul piano meramente normativo, non può cessare. Esiste poi, sul tema, una chiave di lettura, come ho appena accennato, simbolica. Interpretando un sentimento largamente diffuso tra i nostri corregionali, aggiungo che è lo stesso istituto del commissario che, dopo un così lungo tempo, deve saltare perché rappresenta un’anomalia insopportabile per la nostra regione, ma anche per l’esecutivo nazionale, per il decoro del nostro Paese e per la stessa democrazia italiana. Mi chiedo su quale altra regione italiana poteva abbattersi un giogo tanto lungo. Poteva abbattersi in Veneto, in Lombardia, in Basilicata? Solo in una regione, sovraccarica di stereotipi e con un personale politico non sempre capace di battersi per le cause giuste, poteva verificarsi un fenomeno del genere. Avanzo a questo punto un’ipotesi di lavoro.

Roberto Occhiuto, sia pure in presenza di un massiccio astensionismo, è stato eletto in una coalizione e in una forza politica che in Calabria è riuscita a ottenere una messe di consensi che non ha uguali nel resto d’Italia. Possiede dunque le condizioni ideali per porre con forza prima al suo interno e poi, insieme all’intero suo partito, al presidente Draghi e al governo nel suo complesso la fine immediata del commissariamento. Nessuno intende cancellare il debito accumulato. Bisogna diluirlo nel tempo lungo e intanto mostrare il pugno duro nei confronti di quelle aziende che hanno sforato i bilanci e che spesso sono apparse infiltrate dalla criminalità organizzata. Si tratta di prevedere, attraverso un’intesa tra lo Stato e la regione, che la nostra Costituzione fra l’altro prevede, una combinazione inedita, un po’ anche risarcitoria, per la Calabria, di cui il presidente della regione deve diventare il garante di fronte ai calabresi. Una combinazione che parta dal reperimento di un personale tecnico-sanitario di livello. Un’operazione, convengo, difficile, ma se si cerca nelle nostre università, nelle quali spesso si trovano figure capaci di unire la forza della qualità con quella del legame sentimentale con il territorio, se si cerca nelle aziende sanitarie del Nord, dove, in funzione spesso apicale, lavora un numero sterminato di calabresi, (non tutti sarebbero disposti a tornare, ma qualcuno, spinto da un soprassalto d’orgoglio, potrebbe farlo) e nella stessa nostra regione, dove il personale si è ridotto come numero al lumicino, ma spesso non è per nulla scadente, si trova il personale che ci occorre.

Insomma bisogna rendersi conto che in Calabria siamo arrivati ad un punto così basso che si avverte in tutti gli ambienti il desiderio di risalire in superficie. Tale compito, dopo undici anni in cui siamo apparsi come una colonia penale d’oltremare, gli elettori lo hanno affidato a Occhiuto. A lui non resta che realizzarlo. La Calabria vuole diventare una regione normale. Come le altre.

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