Ceccato 98 – La libretta

ceccato 98di Enzo Cuzzola – Come zio Carlo, come il ragioniere dell’ingrosso Tripodi di piazza Carmine, anche mio padre teneva il “quaderno” nel quale segnava le entrate e le uscite, oltre ai crediti nei confronti dei clienti. Più che un quaderno, quello tenuto da mio padre, era un vero e proprio libro, molto spesso, dalla copertina marrone scura.  Ma lo spessore non era dovuto alla mole di entrate ed uscite, infatti con quella bottega riuscivamo appena a sopravvivere e se, mio padre, non si fosse industriato a fare cento altri lavori e cento altri servizi, probabilmente non avremmo mangiato ogni giorno. Ma, come noi, tante altre famiglie del paese non riuscivano a mangiare tutti i giorni. Per questo il libro di bottega era molto spesso. Lo spessore era dovuto alle pagine intestate alle famiglie che non potevano pagare la spesa tutti i giorni, ma solo quando il capofamiglia riusciva a trovare un lavoro e se gli veniva pagato. Ma bisognava pur che mangiassero. Per questo papà, malgrado il rischio, spesso rivelatosi realtà, di andare in sofferenza finanziaria anche noi, non rifiutava mai niente a nessuno. Segnava. Il cliente comprava, ovviamente, lo stretto necessario per andare avanti e poi invitava mio padre a segnare. Lui segnava.

Segnava sulla libretta.  La libretta era un “quadernino”, sul quale mio padre trascriveva l’importo complessivo della spesa quotidiana, effettuata a debito dal cliente, dopo averlo riportato anche sul librone “mastro”. In pratica l’importo veniva annotato sul libro di bottega e trascritto per riscontro sulla libretta del cliente. A fine mese, o quando Dio voleva, il cliente passava una sera in bottega, si faceva il conto e saldava. La libretta veniva annullata così come l’importo annotato a credito sul libro di bottega.

A volte capitava anche che il cliente non riusciva a pagare per lunghi mesi. A volte non pagava mai. Mia madre si arrabbiava e lamentava con mio padre della sua eccessiva bontà e disponibilità. Mio padre cercava di chiarirle che era il rischio del mestiere. Che non era un reale problema. In fondo era tutto calcolato e preventivato. Lei non capiva, fino a quando mio padre non le rammentava la sua fede nella Provvidenza, o fino a quando non ricordava il suo viaggio di ritorno dalla prigionia. Sbarcato a Napoli, dovette tornare a casa senza soldi e con mezzi di fortuna, ma raccontava sempre che nessuna casa, nessuna famiglia, gli aveva mai rifiutato un piatto di pasta o un pezzo di pane.

Anche io cominciavo a capire che la Provvidenza è qualcosa che ti provvede, ma che forse ti invita, a tua volta, a provvedere agli altri. Mi tornava allora in mente mio zio Demetrio, il fratello più grande di mio padre, figlio di prime nozze di mio nonno Paolo. Zio Demetrio ripeteva sempre “aiuta che Dio ti aiuta”.

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